Cathedraticum
Data:
21 Febbraio 2024

Cathedraticum…
de solvendo in festo translationis Sancti Gerlandi
Il Cattedratico, secondo i più importanti studi storici e canonici, che sebbene esigui ci permettono di indagare tale argomento, è un “tributo che si paga al vescovo per onore alla cattedra” (André-Condis, Dictionnaire de Droit Canonique, I, Paris 1901, 316).
Non abbiamo notizie certe della nascita di tale diritto dei vescovi. L’unico che suppone l’introduzione di tale uso è il Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica del Moroni, il quale nel vol. 95 afferma: “dopo i primi secoli ciascun ministro soleva tenere per sé le offerte dei fedeli che erano fatte alla sua Chiesa, che prima era uso portare al vescovo per farne la giusta divisione. Ma per ricognizione della superiorità episcopale, ciascuno dava la terza parte al vescovo e qualche cosa di più per onore, che poi fu chiamato Cattedratico, perché era dato per riconoscenza alla cattedra episcopale” (vol. 95, 152).
Da tale notizia del Moroni apprendiamo un elemento importante che caratterizzerà tale diritto del vescovo. Il Moroni usa due termini che ritroveremo nei documenti della nostra Diocesi: onore e ricognizione della superiorità episcopale.
In primo luogo, concordano gli studiosi, era per onore alla cattedra, da qui il nome Cattedratico. Onore significa per omaggiare il vescovo e il suo ministero, o meglio, come afferma sempre il Moroni: “per sostentamento della cattedra, cioè della Dignità episcopale” (Moroni, Dizionario…, vol. 10, 273-274). Difatti la prima notizia certa che troviamo circa il cattedratico è quella contenuta nel secondo concilio di Braga del 572. Questo concilio ne parla come di un uso antico che autorizza e circoscrive, dicendo: “Placuit ut nullus episcoporum, cum per dioceses suas ambulant, preter honorem Cathedrae suae, id est, duos solidos, aliquid aliud per ecclesias tollat” [Si è convenuto che nessun vescovo, quando viaggia per le sue diocesi, prenda altro dalle chiese fuorché l’onore della sua cattedra, cioè due scellini] (can. 1, c.10, q.1). Questo concilio dichiara pure che oltre il cattedratico i vescovi non potevano più pretendere la terza parte delle offerte, se no avrebbero lasciato le Chiese senza luci e senza tetti. Quindi limita il potere vescovile di richiedere qualcosa oltre il diritto di onore alla cattedra.
Qui, essendo normato, il cattedratico assume la forma di un tributo, di una tassa, più che di un dono al vescovo per onorarlo. Altri concili successivi e decreti diedero la loro approvazione giuridica a tale uso: il Concilio di Toledo nel 646, riportato poi nel Decretum Gratiani (can. 1,8, c. X q.3) e confermato da un decreto di papa Onorio III nel 1200 (Decretales, cap. 16, X de off. iudic. ordin. I,31), il concilio di Ravenna nel 998. Infine il Concilio di Trento decreterà che, per non gravare le chiese durante la visita pastorale, tale tributo andava riscosso durante il sinodo diocesano che doveva tenersi ogni anno in ogni diocesi, da qui anche il nome sinodatico (Lalmant, Cathedraticum in Naz, Dictionnaire de Droit Canonique, II, Paris 1937,1437).
In secondo luogo trovaimo nelle fonti che il cattedratico era riscosso come riconoscimento della superiorità episcopale, in segno di sottomissione alla chiesa cattedrale, alla quale presiede il vescovo (Ferraris, Prompta biblioteca canonica…, II, Romæ 1785, 144). Questi due elementi che caratterizzavano il cattedratico, onore alla cattedra e sottomissione al vescovo, erano intesi come inscindibili (Wernz-Vidal, Ius Canonicum, IVb, Romæ 1935, 326-327).
Chi era tenuto a pagare il cattedratico? Sostanzialmente tutti coloro che erano sotto la giurisdizione del vescovo: Chiese, benefici, confraternite, curati, ecc., ad esclusione dei monasteri.
Come abbiamo visto il diritto ecclesiastico, concili, decretali e giurisprudenza, limitavano il pagamento del cattedratico a due “solidis”, anche se un capitolare di Carlo il calvo del 844 afferma che tale diritto poteva essere richiesto dal vescovo in denaro o in derrate (Lalmant, Cathedraticum…, 1438).
Nella nostra Diocesi abbiamo notizie dell’esazione di tale diritto da quando si sono iniziati a conservare i documenti nel nostro Archivio Storico Diocesano (1510).
Così troviamo uno tra i primi documenti che riguarda Bivona, che giusto quest’anno offrirà l’olio per San Gerlando. Quindi il 15 aprile del 1521 il Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, don Gerardo del Porto, conferiva al chierico Giovanni de Dato il beneficio di San Benedetto nella Chiesa Madre di Bivona, che si era reso vacante a seguito della morte del presbitero Giovanni Savatteri, con l’onere “… de solvendo nobis et successoribus nostris rotulum cereum in translattione Sancti Gerlandi, patroni nostri ” (Reg. 1510-1521, c. 509 v. (= 29 v).
Per l’onore alla cattedra del vescovo viene richiesto non denaro, ma un rotolo di cera, equivalente a 793,42 grammi di cera (Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra cinque-seicento, Messina 1986, 515), da donare al vescovo ogni anno in occasione della festa della traslazione di San Gerlando, cioè dello spostamento del corpo da dove era sepolto alla chiesa per essere venerato come santo.
Quando ricorreva questa festa? Era una festa mobile, cioè non aveva un giorno fisso, ma si celebrava la seconda domenica dopo la Pasqua di Resurrezione, come apprendiamo dal Sinodo di Mons. Ramirez (p. 50). I nostri vescovi, fino al 1800, hanno usato tale festa per il pagamento del cattedratico. Festa poi soppressa con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
Troviamo nei nostri documenti il pagamento del cattedratico per lo più con un rotolo di cera, come dicevamo circa 800 grammi, o mezzo rotolo, cioè la metà.
Documenti
15 aprile IX ind. 1521. Il Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, don Gerardo del Porto, conferisce al chierico Giovanni de Dato il beneficio di San Benedetto nella Chiesa Madre di Bivona, vacante a seguito della morte del presbitero Giovanni Savatteri, con l’onere “… de solvendo nobis et successoribus nostris rotulum cereumin translattione Sancti Gerlandi, patroni nostri ” Reg. 1510-1521, c. 509 v. (= 29 v.)
13 febbraio VI ind. 1532. Don Bartolomeo de Perinis, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, scrive al Vicario di Bivona in merito al nobile Gioannuzio de Pullasta che desidera costruire una cappella in onore di San Giovanni Evangelista, fondare una confraternita ed eleggere il cappellano. Tra gli oneri si legge: “… solvat in festo translattionis Sancti Gerlandi rotulum unum cere.” Reg. 1530-1535, c. 161 (= 38, ex 5)
23 luglio VI ind. 1533. Don Bartolomeo de Perinis, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, scrive a don Giacomo de Infontanetta divenuto Arciprete di Bivona “ob renuntiationem et resignationem” di don Giovanni Pujades, con l’onere “… de solvendo quolibet anno nobis et successoribus nostris in die translattionis Sancti Gerlandi patroni nostri jus recognitionis solitum et consuetum” Reg. 1530-1535, c. 170 v.
29 marzo XIV ind. 1511. Don Luca d’Amantea, Vicario Generale di Mons. Giuliano Cybo, conferisce il beneficio della Cappella di Tutti i Santi nella Chiesa Madre di Cammarata, rimasto vacante dopo le dimissioni di fra’ Giovanni de Lumia, al chierico Antonio de Lumia che avrà l’onere di versare annualmente “solita cere rotuli dimidij” Reg. 1510-1521, c. 23
13 maggio XIV ind. 1511. Don Ludovico de Condruxerio, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, conferisce al chierico Girolamo de Lucchesio il beneficio della SS.ma Trinità nella Chiesa Madre di Naro, vacante a seguito della morte del presbitero Guglielmo de Gueli, “solvendo anno quolibet in festo translationis Santi Gerlandi patroni nostri ceram rotuli dimidij”. Reg. 1510-1521, c. 35
23 ottobre XIV ind. 1510. Don Ludovico de Condruxerio, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, conferisce il beneficio dell’altare di Maria SS.ma della Grazia nella Chiesa Madre di Giuliana, de jure patronatus degli eredi di Benedetto La Sala, al presbitero Salvo de Frusterio, “cum onere tamen rotuli dimidii cere exsolvende quolibet anno nobis successoribusque nostris in qualibet translattione Sancti Gerlandi” Reg. 1510-1521, c. 75 v. (= 62 v.)
5 ottobre XV ind. 1511. Don Luca d’Amantea, Cantore e Canonico agrigentino, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, dichiara che l’Arcipretura di Cammarata è affidata al chierico Brancaccio de Centurione, canonico, a seguito della morte di don Pietro Isvagles, cardinale regio, con l’onere “… de solvendo anno quolibet in festo translationis Sancti Gerlandi, patroni nostri, jus cere more solito …” Reg. 1510 – 1521, c. 101
18 settembre 1582. “S. Stefano. Bulla Archipresbiteratus.”. Mons. Antonio Lombardo, Vescovo di Agrigento, conferisce a don Angelo Cimiotta di Marsala l’Arcipretura della Chiesa Madre di S. Nicola, vacante a seguito della morte di don Francesco La Barbera, con l’onere “… de solvendo solitam ceram in die translattionis Santi Gerlandi patroni nostri” Reg. 1582–1583, c. 331
Tale uso però era incompatibile con quanto la Chiesa prescriveva, giacché era una tassa che doveva essere uguale per tutti e non adeguata al reddito di chi la pagava, né poteva essere inferiore o maggiore di quanto indicato dal diritto, né poteva essere esentata (Ferraris, Prompta biblioteca canonica…, II, 144-146). Perché tale distinzione? Non abbiamo dati sufficienti per affermare una tesi o fare delle supposizioni. L’unica potrebbe essere la variazione del prezzo della cera, ma ciò non giustifica poi l’aumento, dato che se la tassa era inferiore a quanto stabilito dal diritto non poteva essere aumentata. Sta di fatto che i documenti parlano chiaro.
Due esempi importanti della variazione del pagamento del cattedratico li troviamo a Santo Stefano nel 1533 e a Burgio nel 1511.
Documenti
… luglio VI ind. 1533. S. Stefano. Don Bartolomeo de Perinis, canonico agrigentino e Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, comunica al Vicario di S. Stefano che sono state presentate bolle apostoliche con le quali si conferisce il beneficio dell’Arcipretura a don Antonio de Duca di Santo Stefano, con l’onere “… de solvendo nobis et successoribus nostris quolibet anno et in die translattionis Santi Gerlandi patroni nostri unum arietem et alia in ea eidem archipresbiteratui spettantia et pertinentia.” Reg. 1530-1535, c. 170.
26 ottobre XV ind. 1511. Don Luca d’Amantea, Ciantro e Canonico agrigentino, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, conferisce il beneficio dell’Arcipretura di Burgio al presbitero Lorenzo de Michele, a seguito delle dimissioni del presbitero Giorgio de Randatio, con l’onere “ de solvendo anno quolibet in festo translattionis Sancti Gerlandi, patroni nostri, jus cere, hoc est crastatum unum et in defetto pretium et valorem”. Reg. 1510 –1521, c. 111
Invece nel 1797 con Mons. Granata troviamo la soluzione del pagamento in tarì sei, mentre nel 1851 Mons. Lo Jacono, oltre il solito rotolo di cera, richiedeva 12 tarì.
Documenti
23 febbraio 1797. Mons. Saverio Granata, Vescovo di Agrigento, fonda il beneficio dell’Anime del Purgatorio nell’omonima chiesa di Favara affinché il beneficiale sia di aiuto al Parroco, senza però ledere i diritti di quest’ultimo né quelli dei Giurati, che hanno il diritto di patronato sull’altare di S. Rosalia. “Onus tamen volumus ut sit Beneficiali adjuvando eligendo et qui pro tempore erit, tarì sex quolibet anno in die Translattionis Divi Gerlandi persolvendi et hoc in obsequium Cathedrae debitum et in signum subjectionis pariterque onus sit ipsis adjuvando nobis et successoribus Episcopis ad ratham pro tempore Sacrae Visitationis”. Reg. 1796-97 c. 237 v.
13 dicembre 1851. Mons. Domenico Maria Lo Jacono, Vescovo di Agrigento, conferisce al sac. don Carlo Valenti di S. Stefano il beneficio dell’Arcipretura di S. Elisabetta. Don Carlo dovrà prestare al Vescovo e ai suoi successori onore, obbedienza e reverenza. Inoltre, annualmente nella festa della traslazione di S. Gerlando, dovrà versare “rotulum unum cerae laboratae et tarenos duodecim jure Cathedratico”. Reg. 1850-51 c. 482.
Quali erano le motivazioni per cui veniva richiesto tale diritto dal vescovo?
Notiamo che dal 1500 almeno fino al 1700 scompare il motivo principale per cui nasce il cattedratico, cioè l’onore alla cattedra del vescovo, mentre nei documenti verrà affermato soltanto il diritto di superiorità e soggezione al vescovo.
Documenti
14 ottobre 1588 . “S. Stefano. Parrocato”. Don Diego de Haëdo, Vescovo di Agrigento, conferisce il beneficio dell’Arcipretura al licenziato Giovanni Peres de Cuellar “hispano, nostro domestico et familiari”, a seguito delle dimissioni di don Angelo Cimiotta, con l’onere “… de solvendo nobis et successoribus nostris quolibet anno in qualibet translattione Sancti Gerlandi patroni nostri solitam ceram jure recognitionis, dominii et superioritatis”. Reg. 1587 – 1588 – 1589, c. 437
8 maggio XIV ind. 1511. Don Ludovico de Condruxerio, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, conferisce il beneficio di S. Maria Maddalena nella Chiesa Madre di Caltabellotta al presbitero Gesuo de Inreri, a seguito della morte del presbitero Nicola Chirnillera, ultimo beneficiale, con l’onere ogni anno “cere rotuli dimidij in translatione beati Gerlandi patroni nostri in signum vere possessionis et obedientie” Reg. 1510-1521, c. 31
26 ottobre XIV ind. 1510. Don Ludovico di Condruxerio, Vicario Generale di mons. Giuliano Cybo, concede al nobile Antonio Xirotta di Palermo licenza di edificare la Cappella di S. Girolamo in Chiusa, con l’onere di “nobis et successoribus nostris anno quolibet in perpetuum in festo traslationis Beati Jorlandi in signum veresubgetione (sic) et recognitionis domini principalis rotulum cere medum” Reg. 1510-1521, c. 88.
16 settembre 1734. Mons. Lorenzo Gioeni, Vescovo di Agrigento, conferisce al sac. don Nicola Guarnotta il beneficio di S. Giorgio detto “la Candelora”, vacante per la morte del sac. don Giuseppe Pirrone di Caltabellotta, con l’onere “de solvendo rotulum unum cere quolibet anno in traslatione festivitatis (sic) Divi Gerlandi Patroni nostri, jure recognitionis et dominij” Reg. Vis. 1724-1736 c. 137 v.
Dalla fine del 1700 al 1800 ritorna la dicitura del debito di onore, unito anche alla obbedienza e riverenza al vescovo.
Documenti
18 maggio 1789. Mons. Antonino Cavaleri conferisce al sac. don Raimondo Costa il beneficio di S. Andrea, fondato nella Chiesa Parrocchiale di S. Nicola di Naro, con l’onere “de solvendo solitum jus cerae in qualibet translattione Divi Gerlandi, patroni huius civitatis, et de prestando nobis et successoribus nostris debitum honorem, reverentiam et oboedientiam”. Reg. 1788-89, c. 439.
21 marzo 1827. Mons. Pietro d’Agostino, Vescovo di Agrigento, conferisce al sac. don Angelo Schillaci di Agrigento il mansionariato numerario, vacante a seguito della promozione del sac. don Francesco Mendola al mansionariato detto “di Zunica”. Don Angelo dovrà prestare “debito honore, reverentia et obedientia”. Reg. 1827 c. 116.
6 giugno 1840. Il Vicario Capitolare conferisce il beneficio dell’Arcipretura di Calamonaci al sac. don Domenico Triolo di Cattolica, che dovrà prestare “honore, obedientia et reverentia”. Reg. 1840 c. 268.
Ma quanto si doveva pagare per questo tributo? E a quanto corrisponde un rotolo di cera, che troviamo nei nostri documenti, o un ariete o un capro?
Anzitutto il diritto della Chiesa, dal concilio di Braga in poi, fissa il pagamento del cattedratico a due “solidis”, che come abbiamo già detto poteva essere pagato in danaro o in derrate.
I due “solidis” a quanto corrispondevano?
Il Ferraris nella sua Prompta biblioteca canonica afferma che nel 1600 per il Regno di Napoli l’equivalenza di due solidi era circa due ducati (p. 144). Che in moneta siciliana corrispondevano a circa 20 tarì (Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia, 515).
Pertanto, se il vescovo chiedeva al posto della cera un ariete o un capro il cui prezzo era tra i 15 e i 17 tarì richiedeva il giusto (Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia, 75).
Ma la cera quanto costava? Perché non commutarla con l’olio?
Anzitutto il prezzo della cera era abbastanza variabile e talvolta aumentava esponenzialmente da 40 maravedì alla libbra fino ad arrivare a 140 maravedì alla libbra, cioè per un rotolo di cera (800gr) si potevano spendere tra i 3 e i 6 tarì, secondo alcuni documenti che riguardano il Regno di Spagna (Romano, I prezzi in Europa dal XIII secolo a oggi, Torino 1967, 166ss.). Riportate tali cifre in moneta moderna possiamo dire che il cattedratico nella nostra Diocesi non era un prezzo esoso, variava dai 10€ fino ai 35€ circa, giacché 1 tarì valeva quanti gli odierni 6€, quando però il cattedratico veniva pagato in rotoli di cera.
Quando si richiedeva altro, ariete, capro, ecc., poteva essere un po’ più dispendioso, tra i 90 e i 102€. Anche se tali prezzi sono approssimativi, giacché sono ricavati da fonti generali. Comprendiamo che un ariete o un capro a Burgio o Santo Stefano, dove si allevavano in massa, costava di meno che ad Agrigento, Palermo o Napoli, dove non si allevavano e dovevano essere trasportati, mentre la cera poteva costare di più se non era prodotta in Sicilia stesso ma era di importazione. Quindi possiamo desumere che su per giù il prezzo del cattedratico era identico sia se era pagato in rotoli di cera, sia se pagato in moneta o animali, tranne nel caso di Burgio, come abbiamo visto che il vescovo chiede un capro e il valore mancante a raggiungere un rotolo di cera. Da ciò possiamo desumere che la cera era di importazione e valeva più di un capro.
Infine, perché non pagare in olio? Nelle nostre terre l’olio era abbastanza diffuso e di facile reperimento, pertanto il prezzo era di circa 10-20 tarì ogni 13 rotoli, quindi per 10Kg e 300 gr. di olio si pagava quanto circa 1,5Kg di cera, comprendiamo quindi che la cera era un prodotto più pregiato e raro, o almeno di più difficile reperimento, per questo veniva richiesta la cera. Oltretutto illuminare la Cattedrale con lampade ad olio sarebbe stato più difficoltoso, col rischio di gocciolare d’olio chi malauguratamente si trovava sotto i lampadari.
L’unica notizia del ‘dono’ di una lampada d’olio accesa la troviamo in una controversia tra gli ebrei della città e il Vescovo, Domenico Xarth, O.Cist. † (10 gennaio 1452 – 1471).
Ogni anno la comunità ebraica della città soleva portare una lampada d’olio accesa in Cattedrale nel giorno del Giovedì Santo. Nell’anno del Signore 1466, essendo re Giovanni I d’Aragona (1458-1479), il Vescovo Mons. Domenico Xarth, all’arrivo del malangreri, una specie di sacrista della sinagoga, detta Meschita dei giudei, il quale portava la lampada d’olio accesa, lo obbligò ad accendere tutte le lampade della cattedrale. Cosa che fece il malangreri, ma poi, giustamente, si lamentò presso il vicerè per il torto subito, il quale nella presente lettera rimproverava il vescovo e gli intimava di non apportare novità alle consuetudini inveterate, per non aggiungere vessazioni agli ebrei della città.
A conclusione di questo nostro percorso vogliamo rilevare come la nascita del cattedratico abbia avuto origine da un dono al vescovo per onorare la sua dignità episcopale, la Cattedra, la sede su cui siede, nella nostra Diocesi intimamente legata al rievangelizzatore, San Gerlando.
Oggi, essendo mutati i tempi, il cattedratico viene versato secondo le disposizioni del Diritto Canonico, ma l’offerta dell’olio a San Gerlando assume un aspetto squisitamente spirituale e teologico. Non è più un tributo dovuto per diritto. Ma è tornato ad essere un dono fatto alla Chiesa Cattedrale nella persona del Vescovo per omaggiare il Santo Patrono e per gli usi liturgici (consacrazione degli oli santi in Cattedrale il giovedì Santo).
È divenuto oggi un segno di comunione delle comunità ecclesiali con il proprio Vescovo, un segno di unione alla Cattedra episcopale, sulla quale da San Gerlando a Mons. Damiano si sono assisi 69 vescovi, che hanno guidato la nostra Diocesi nelle varie vicende che si sono susseguite nel corso dei secoli.
In questa solennità del nostro Santo Patrono siamo chiamati allora a recuperare alcuni elementi importanti della nostra comprensione del ruolo del vescovo e della nostra unione a lui (Apostolorum Successores, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi 2004):
– Il Vescovo è stato posto a reggere la Chiesa di Dio nel nome del Padre, del quale rende presente l’immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, dal quale è stato costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo che dà vita alla Chiesa (56).
– Il Vescovo è maestro e dottore autentico della fede (57).
– Il Vescovo è “visibile principio e fondamento” dell’unità della sua diocesi (58) e segno di comunione (59).
Pertanto il Vescovo è centro di unità della Chiesa particolare, a cui è affidata la diocesi che presiede con la sacra potestà, quale maestro di dottrina, sacerdote del culto e ministro del governo (63). Queste, badiamo bene, non sono storielle, ma la volontà di Cristo che ha consegnato la sua Chiesa agli apostoli, attraverso l’effusione dello Spirito Santo, che “fu da essi partecipata attraverso il gesto dell’imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l’imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti” (Giovanni Paolo II, Es. Ap. Post-sin., Pastores Gregis, 6). Così, infine, le nostre comunità parrocchiali, onorate nell’offrire l’olio nella solennità di San Gerlando, devono sentire fortemente questa unione al proprio pastore, gareggiando nell’esserne preposte, non per vanagloria, quanto per la maggior gloria di Dio e la manifestazione visibile della comunione col proprio pastore.
Sac. Giuseppe Lentini
Ultimo aggiornamento
21 Febbraio 2024, 13:56