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Traslazioni e ricognizioni delle Sacre Reliquie di San Gerlando*

Data:
21 Febbraio 2025

Traslazioni e ricognizioni delle Sacre Reliquie di San Gerlando*

 

Dalle antiche carte custodite dentro l’urna di San Gerlando e trascritte nei registri del nostro Archivio che riguardano le traslazioni e le ricognizioni delle Spoglie mortali di San Gerlando, traiamo parecchie notizie, le quali ci narrano una devozione al venerato rifondatore della nostra Chiesa che dal 1159, anno della canonizzazione, in poi si accrebbe sempre di più, fino allo scemare verso la metà del XIX secolo per avere maggior ripresa, tra alti e bassi, durante il secolo scorso[1].

 

Explicatio terminorum

In prima battuta vogliamo spiegare alcuni termini che useremo in questo nostro intervento. Anzitutto circa la canonizzazione medievale rileviamo come il processo differiva da quello odierno. Non era il Papa, se non in alcuni sporadici casi, a concedere il culto ad un defunto, bensì il vescovo del luogo, attraverso due riti: 1. L’elevatio, cioè togliendo il corpo dalla tomba, terranea o meno, in cui era stato deposto; 2. La translatio, cioè spostare il corpo all’interno della Chiesa[2].

Le altre aperture della cassa o arca in cui venivano contenute le reliquie viene detta recognitio, qualora poi fosse spostata permanentemente in un nuovo luogo, è detta translatio.

 

Canonizzazione

Anzitutto vogliamo fare un accenno alla canonizzazione del 1159 ad opera del vescovo di Agrigento Gentile, toscano, cancelliere del re di Ungheria, inviato a Palermo come nunzio presso il re Guglielmo I e qui consacrato vescovo di Agrigento, nonché primo suffraganeo agrigentino dell’arcivescovato di Palermo[3], dipinto dai contemporanei, quali Ugo Falcando, come un uomo dai tratti foschi, dedito ad intrighi di palazzo, soprattutto aspirante ad occupare la sede Arcivescovile di Palermo, per poi divenire uno dei cospiratori contro il vescovo Stefano eletto a tale ruolo. Andò incontro ad un processo insieme agli altri congiurati, ai quali, sebbene colpevoli di aver perpetrato il crimine di lesa maestà, era stata loro risparmiata la vita ed era stata emessa una sentenza di condanna al di sotto del rigore previsto dalla legge per tale delitto[4].

Prima della canonizzazione, nel 1156, a Benevento, si giunse alla stipula del Pactum tra Guglielmo I e Adriano IV: «il Papa, per il legame che lo univa a Guglielmo II e a seguito delle richieste di Maione e dell’arcivescovo Ugo, assegnò come suffraganee alla diocesi di Palermo, “in perpetuum”, quelle di Agrigento e di Mazara, le quali per speciale privilegio erano direttamente sottoposte alla Chiesa di Roma»[5].

La Diocesi di Agrigento pertanto era diventata suffraganea di Palermo da quell’anno 1156, mentre Gentile era vescovo dal 1154. Ricordiamo ciò perché la successione degli eventi è importante anche per capire per quale motivo la canonizzazione di San Gerlando sia avvenuta in quel preciso contesto storico. Da quel momento la Chiesa agrigentina era passata da un’autorità diretta della Sede Apostolica ad essere declassata sotto l’autorità di un altro vescovo. Oggi questo a noi può non dire nulla, ma in un’epoca dove il protocollo, le precedenze, la potestà e il potere erano non solo la forma, ma l’espressione della sostanza, questo voleva dire tanto.

Come riscattarsi da tale affronto? come innalzarsi da tale degradamento? La canonizzazione del rifondatore fece sicuramente d’uopo. Ciò non toglie nulla alla santità di San Gerlando, badiamo bene. Già nelle fonti, dal Malaterra in poi, è descritto quale uomo di grande carità, erudito nella disciplina ecclesiastica e degno di essere consacrato vescovo[6].

In secondo luogo, come abbiamo già accennato il vescovo Gentile era un uomo ambizioso e aspirava alla sede arcivescovile, mentre il vescovo Ugo era già alla fine dei suoi giorni, morirà nel 1161, e ciò avrà anche contribuito, come il vescovo Ugo a Palermo aveva innalzato S. Cristina[7], alla scelta di canonizzare San Gerlando, così da avere un vescovo santo all’interno della successione dell’episcopato agrigentino, cosa che nessun’altra diocesi siciliana poteva vantare allora, oltretutto della stirpe normanna, giacché è detto di San Gerlando essere familiare del conte Ruggero[8].

Non è infrequente che un santo fondatore di una Chiesa venga elevato agli onori degli altari:

«la costruzione delle liste episcopali e la venerazione delle reliquie dei santi fondatori (che siano vescovi o abati) e dei loro successori ci porta alla identificazione dei soggetti precisi e definiti che si ricompongono e si ristrutturano, attraverso gli strumenti della costruzione di una storia, nella comunione dei santi di un preciso luogo. In quest’ottica, dunque, anche le traslazioni acquisiscono un ruolo centrale nella riaffermazione di una santità e nel lavorio di riorganizzazione e rinvigorimento di una memoria, portato avanti anche attraverso la – apparentemente – semplice operazione di dislocare i corpi santi in luoghi che diventano significativi dell’autorità ecclesiastica locale»[9].

Comprendiamo così l’operazione religiosa, politica e calcolata di Gentile nell’elevare il corpo del Santo predecessore, la cui memoria, stando alle fonti, non si era scolorita.

Ma andiamo ad analizzare la principale fonte che ci parla della vita e di ciò che avvenne dopo la morte del Santo Vescovo.

Secondo Mons. De Gregorio, che ha pubblicato per intero la Legenda e l’Ufficio ritmico di San Gerlando, possiamo distinguere tre parti nella legenda[10]:

  1. La vita del Santo, fatta risalire nella sua composizione a un cinquantennio dopo la morte del Santo[11], o, come afferma il p. Lombino, a molto tempo dopo da una agiografia precedente[12];
  2. I due miracoli precedenti all’elevazione e traslazione, fatti risalire anch’essi al tempo dello svolgersi dei fatti quindi dopo il 1159[13];
  3. I miracoli dal terzo al settimo, detti moderni, che risalgono al XV secolo e riportano minuziosità di particolari e nomi dei miracolati e del clero dell’epoca[14].

Circa la prima parte non ci soffermeremo sulla vita e sull’operato di San Gerlando per brevità, dato che il nostro intento è un altro, passeremo invece ad analizzare la seconda parte, che più ci interessa al fine del nostro studio, tralasciando purtroppo anche la terza, che ci proponiamo riprendere nei prossimi incontri.

Dopo la morte e la deposizione del Santo Vescovo in un sarcofago tra due archi, o forse vi era un portico, non lo sappiamo, ma con certezza fuori la chiesa, nelle vicinanze di essa, giacché è detto con chiarezza che poi fu traslato «infra ecclesiam».

La legenda ci narra il primo miracolo che avvenne poco tempo dopo la morte di San Gerlando e l’elezione a vescovo di Drogone. Un cane salì sul sepolcro del Santo e subito gli uscirono gli occhi fuori dalle orbite, come se fossero stati strappati da un uomo, cosa che suscitò la meraviglia di chierici e fedeli.

Il secondo miracolo sembra quasi essere l’innesco per il risveglio del culto a San Gerlando, giacché forse si era un po’ sbiadito il ricordo. Accadde che un cervo del vescovo avvicinandosi al sepolcro impigliò tra le sue corna la lampada che risplendeva davanti la tomba del Santo, facendola cadere in terra. Accorso il custode della Chiesa la trovò integra e la rimise al suo posto. Ne presumiamo dovesse essere di vetro e il miracolo fu che cadendo non si ruppe. Ma l’agiografo aggiunge: «Coloro che seppero del fatto, sia chierici che laici, cominciarono a portare al sepolcro del Santo i loro malati che venivano guariti dalle sofferenze»[15]. Così la fama sanctitatis di San Gerlando cominciò a diffondersi tra popolo e clero, ma ciò non suscitò subito la necessità di dare una sepoltura più degna e all’interno della Chiesa al Santo rifondatore della Chiesa Agrigentina.

Rileviamo qui anche l’esiguità della presenza cristiana, come ci narra il Libellus de successione pontificum Agrigenti, fino alla morte di Guglielmo II (1189)[16], e probabilmente questo sarà stato anche uno dei motivi del ritardo della canonizzazione di San Gerlando.

 

Elevazione, I Ricognizione e I Traslazione

La traslazione avvenne anch’essa dopo degli eventi prodigiosi, raccontati dall’anonimo agiografo. San Gerlando apparirà in sogno ad un sacerdote, chiedendo di dire al Vescovo (qui chiamato ministro della Chiesa[17]) di trasportare il suo corpo all’interno della chiesa nel lato destro (il lato privilegiato). Il sacerdote lo dimenticò, allora gli apparve una seconda volta con la stessa richiesta, ma per negligenza o per dimenticanza il sacerdote non lo fece. Allora gli apparve una terza volta, lo prese per mano e gli disse: «Comunica al Ministro che trasferisca il mio corpo da questo luogo dentro la chiesa; se non lo farai ti colpirò con una piaga inguaribile»[18]. E tenendolo per mano lo condusse davanti al sepolcro e compì un giro intorno alla chiesa che durò fino a quando terminò di cantare solennemente tre matutinali, cioè il matutino della domenica, del lunedì e del martedì. Svegliatosi il sacerdote, spaventato e piagato, corse dal Vescovo e gli narrò l’ordine del Santo, portando a testimonianza il suo corpo piagato, perché a lungo aveva taciuto.

Così San Gerlando fu elevato dalla sepoltura in cui era, cioè canonizzato, e il suo corpo traslato all’interno della chiesa dal Vescovo Gentile, «con ogni timore e riverenza» ci dicono le fonti[19], e da tutto il clero della diocesi nell’anno 1159.

Che da questa data inizia il culto a San Gerlando è indubitabile, giacché come nota il De Gregorio, dai documenti successivi, il cattedratico, signum subiectionis et oboedientiæ, che prima era dovuto nella festa dell’Assunta o di San Giacomo, verrà richiesto, come abbiamo notato in un nostro precedente incontro sul tema[20], nella festa della traslazione di San Gerlando.

Come sia stato composto il corpo e dove sia stato intronizzato nella traslazione di Gentile non ci è dato saperlo, molto probabilmente in una cassa di legno e nel primo altare a destra di quello maggiore, come richiesto dal Santo.

Avverranno successivamente diverse ricognizioni del corpo di San Gerlando, che vengono dette nei nostri documenti impropriamente traslazioni. Tutti questi documenti in originale sono inseriti all’interno dell’arca lignea che adesso possiamo ammirare insieme alle ossa, che erano avvolte in una stoffa o in alcune epoche in dei sacchetti di stoffa.

Presso il nostro Archivio, in un registro degli Atti dei Vescovi, tali documenti sono trascritti uno dopo l’altro, durante la ricognizione fatta da Mons. Gioeni il 30 marzo 1742[21].

Secondo il documento tale ricognizione fu fatta perché l’arca argentea, fatta fare da Mons. Traina nel 1639 dall’argentiere palermitano Michele Ricca, «erat aevo denigrata…accersitis…cum consilio Capituli, Stephano et Sigismundo Filippazzo, fratribus Aurificibus Agrigentinis et per eosdem inspecta Arca praedicta, fuisset consultum, posse eamdem in pristinum splendorem redigi»[22].

La descrizione minuziosa dei gesti fatti, di ciò che è apparso ai loro occhi, rende il lettore presente a tale sacro rito. Per una maggiore comprensione traduco:

«Fu quindi da loro aperta la parte superiore alla presenza del suddetto Illustrissimo e Reverendissimo Signore Vicario Generale… In essa il suddetto Tesoriere e il Reverendo Signor Vicario Generale trovarono un’altra cassa di legno, coperta con una copertura di seta, ovale nella parte superiore, detta comunemente Bagullo, di circa tre palmi di lunghezza, con nastri di seta d’oro, adornata tutto intorno separatamente con perni di rame dorati, chiusa e con la chiave pendente dalla parte esterna. Al suo interno erano custodite le ossa del Beatissimo Vescovo; [il Vicario Generale], alla presenza di tutti gli astanti, aprì quella tirata fuori riverentemente dai Beneficiali dalla più grande Arca d’argento, e tutti si inginocchiarono e adorarono il Santo Corpo. Recitato l’inno Iste Confessor con l’orazione, guardò e tutti videro due sacchetti di seta di color verde chiusi, composti e legati con cordicelle anch’esse di seta con le ossa del SS. Vescovo. Accanto ai sacchetti, nella stessa cassa di legno, all’interno adornata tutta intorno con nastri di seta, che né l’ill.mo e rev.mo Vicario Generale né alcun altro osò aprire, trovò certi fogli di pergamena e un foglio di carta reale piegato e inserito sotto un altro mezzo foglio di carta reale, avvolto e legato con un nastro di seta. L’ill.mo e rev.mo Vicario Generale, tirati fuori i fogli di pergamena e il foglio, innanzitutto li consegnò a me Notaio Apostolico e Cancelliere da trascrivere e di nuovo chiuse la carta dinanzi a tutti, tenne la chiave presso di sé e, mentre gli orefici lavoravano, io trascrissi i fogli di pergamena, il cui contenuto era il seguente»[23].

Come si può notare la minuzia di particolari ci fa sembrare quasi di vedere ciò che loro videro, o chi dei pochi ha potuto presenziare all’apertura dell’urna per il restauro, avrà provato le stesse emozioni nel vedere l’arca lignea uscire da quella argentea, sebbene non vi sia stata nessuna ricognizione delle reliquie.

A seguire di questa descrizione troviamo la trascrizione delle pergamene rinvenute circa le precedenti traslazioni, o meglio ricognizioni.

 

II Ricognizione

Nell’anno 1264, essendo vescovo Mons. Rainaldo D’Acquaviva, fu fatta la prima ricognizione delle reliquie dopo la canonizzazione, riponendole probabilmente in una nuova arca di legno dipinta da un certo mastro Vincenzo, come si attesta dal documento. Qui vi è una precisa descrizione delle reliquie rinvenute; trovarono «del corpo del glorioso confessore Beato Gerlando, la scatola cranica divisa in due parti, le ossa mascellari con sei denti, quattro grandi ossa delle tibie con loro due cannelle e un osso grande del braccio e molti altri pezzi di ossa e anche frammenti delle sue vesti e un bastone di legno»[24].

 

III Ricognizione

Nel 1376, il 26 aprile, essendo vescovo Mons. Matteo de Fugardo, avvenne una terza ricognizione delle reliquie per riporle in una nuova arca argentea, forse riutilizzando la precedente, fatta fare dal vescovo dall’orefice Pietro di Bandino. Tale documento ci informa che il vescovo «aperuit et aperiri fecit Casseam ligneam depictam, in qua erat corpus Beati Gerlandi, et aperta ditta cassea lignea, invenit in ea unam Chartam Pergameni tenoris infrascripti»[25] e, dopo aver citato il precedente documento del 1264, lapidariamente aggiunge: «quae omnia inventa fuerunt, prout in ditta charta continetur, et eodem die dictae Reliquiae B. Gerlandi repositae sunt in casseaargentea per dictum Dominum Episcopum, presentibus Canonicis et officialibus et personis suprascriptis»[26].

 

IV Ricognizione e II Traslazione

Nel 1598 Mons. Giovanni Orozco de Covarruvias, che nutriva una grande devozione a San Gerlando, il 5 marzo procedette ad una ricognizione delle reliquie per deporle nuovamente nella cassa argentea fatta sistemare dall’orefice Matteo Glimpi, per poi traslarla dalla collocazione che aveva dato Gentile, nella parte destra della cattedrale vicino al fonte dell’acqua benedetta, ad una cappella a sue spese riccamente ornata all’interno dell’abside dell’altare maggiore[27], erigendo un altare con una statua di legno assai antica del proprio Santo[28]. Così

«aprì – la cassa –, in cui trovò la suddetta pergamena (del 1376 -n.d.r.), e un’altra il cui contenuto è contenuto in essa letteralmente (quella del 1264 – n.d.r.). Letta diligentemente ed esattamente ogni parola, tutto ciò che in esse era contenuto fu trovato e lo stesso giorno le reliquie furono riposte nella predetta Cassa dallo stesso Vescovo che, poiché nello spazio di duecento trenta quattro anni da allora il logorio del tempo aveva consumato l’Arca sia all’interno che all’esterno, con tutte le sue forze procurò dai Signori Giurati che fosse restaurata in modo onorevole. I quali Signori Giurati avvolsero in tessuti di seta le ossa e tutte le cose che erano state conservate in detta Arca, custodite in drappi di lino, e così ornata il detto Rev.mo Vescovo, presenti tutti i sopradetti, ripose nella predetta Arca e con la massima venerazione, come si conviene, la chiuse»[29].

Il bastone trovato nelle prime due ricognizioni all’interno dell’arca, che era il pastorale di San Gerlando, non fu riposto in essa, ma venne prelevato per la devozione del popolo, affinché fosse ornato in lamina d’argento[30]. Quel bastone è una reliquia importantissima, che più che in un museo, ritengo, debba essere posto alla venerazione dei fedeli, giacché abbiamo una inveterata testimonianza che esso dalla sepoltura fino al 1598 rimase nell’arca con il Santo, quindi è senza ombra di dubbio il suo pastorale, che in foggia migliorata potrebbe essere usato anche dai suoi successori quale segno di devozione e pegno di protezione.

Il De Gregorio, apprendendo tali notizie dal Sicomo e Morelli, manoscritto conservato presso l’Archivio Capitolare, ci narra della cerimonia della traslazione che avvenne un mese dopo la ricognizione, cioè il 5 aprile 1598, seconda domenica dopo Pasqua:

«con una imponentissima processione cui parteciparono le confraternite della diocesi, con le loro vesti multicolori, (erano più di 8000 confratelli che procedevano, dietro le loro insegne, con carri allegorici delle virtù e dei meriti dei loro santi patroni), la nobiltà, il clero, il capitolo e lo stesso vescovo e una innumerevole moltitudine di fedeli di tutta la diocesi. Quando la processione giunse davanti la chiesa di S. Sebastiano, la cassa del Santo venne deposta sopra un ricco altare ornato di fiori, di ceri e di vasi di argento; poi si continuò sino al “Tocco, luogo principale e pubblica casa della città dove si aveva acconciato un bellissimo arco trionfale fatto a spesa della città, di verdura, dove se li trovò, per ordine del capitano d’arme a guerra, qual’era Pietro Montaperto, barone di Raffadale, tutta la milizia con li loro archibugge fecero una gran concertata salve d’archibuggeria e l’alfieri abbattendo e giocando le loro bandiere con molta allegria sparavano molti maschi e fornito di sparare si aspettò il vescovo e detto capitano d’arme e per un giovanetto scolare fu recitata” una orazione latina di Vincenzo Littara in onore di San Gerlando»[31].

 

V Ricognizione e III Traslazione

Passato poco più di un quarantennio, essendo vescovo Mons. Francesco Traina, devotissimo del Santo, a proprie spese decise di fare una cappella e una nuova Arca nella quale conservare le Sacre Reliquie di San Gerlando. Così in un foglio di grandi dimensioni, detto di formato reale, cioè di 48×66 cm, con un’ampia retorica introduttiva Mons. Traina lasciava ai posteri traccia di questo suo desiderio, tramutato in omaggio al Santo patrono:

«Gesù, Maria, Francesco. In nome del Signore. Amen. Non esiste nazione o regno umano che non abbia trasmesso alla memoria gli atti individuali del proprio tempo, nel modo con cui era solito farlo, con parole o scritti, su papiro o tavoletta, su marmo o metallo, in prosa o in metrica. Le Sacre Scritture dell’Antico Testamento, che ripercorrono gli eventi a partire dalla creazione del mondo, certamente lo confermano; anche le Scritture del Nuovo Testamento lo confermano, ricordando il piissimo Avvento e la Redenzione del nostro Signore Gesù Cristo, e commemorando gli Atti dei Santi Apostoli: lo testimoniano le Piramidi d’Egitto, lo provano le pagine greche, lo insegnano le storie dei Latini, soprattutto dei Romani, che tra gli altri, sia nella scrittura che nell’intaglio del marmo e del bronzo, hanno segnato l’Europa e le parti africane e asiatiche del mondo, quando non le adornavano di monumenti, almeno le contaminavano, e tanto più diligentemente, quanto più le  imprese da loro compiute riguardavano la loro religione profana. Pertanto, se i cristiani vengono educati come esempio per tutte le nazioni nella gloria di Dio, il Grande e l’Ottimo, e dei suoi Santi; se persiste la Cattolica Isola di Sicilia, se la città di Agrigento, se segue l’illustre e reverendissimo D. Francesco Traina, Palermitano, Vescovo di questa Chiesa di Agrigento, se il Capitolo della stessa Cattedrale, se il clero della Basilica e della città e l’intero corpo dei sacerdoti diocesani conferiranno un beneficio alla posterità, nel passato renderanno obbedienza, nel presente renderanno la lode dovuta a Dio.

Da qui deriva che quando le ossa del Santissimo Gerlando, Vescovo di Agrigento e Patrono, non furono conservate così decentemente come si conveniva, perché in realtà il posto, o piccolo sacrario tra le absidi, cioè la mediana e la meridionale, a sommità della scala traballante che conduce dalla sacrestia all’episcopio, era così stretto, così difficile a salire e scendere, così scomodo all’uno e all’altro sesso, alto e distante che sarebbe stato più adatto a conservare le reliquie o a mostrarle al popolo che ad aumentare o conservare la devozione. Forse, considerando questo, l’illustrissimo vescovo Traina, per ispirazione di Dio, come piamente possiamo credere, a sue spese, costruì, ornò, dotò e consacrò, intitolandola al Patrono, S. Gerlando, una vasta cappella, sul piano della chiesa, di facile accesso tanto agli uomini che alle donne, nella parte meridionale della basilica, dopo la cappella che una volta dal vescovo Ottaviano fu consacrata a S. Giovanni apostolo ed evangelista, a S. Leonardo e a S. Eligio, e in cui oggi è l’altare del Santissimo Sacramento, dalle fondamenta al titolo di San Gerlando Patrono a sue spese eresse e l’Arca, cassa, o monumento al corpo, di piccole dimensioni, di umile fattura, di scarso valore, consumata dall’età, dallo stesso Illustre e Reverendo Signore Don Francesco Traina da una piccola a una proporzionata grandezza, da quasi rustica a una molto elegante e ornata, da una materia di scarso valore ad un’altra più ricca, e da logora a nuovissima è cambiata o, maggiormente, restaurata»[32].

L’urna argentea e la cappella che ammiriamo ancor oggi sono quelle fatte eseguire da Mons. Traina. La nuova urna fu commissionata al palermitano Michele Ricca che eseguì questa meraviglia argentea, purtroppo nel passato depredata da mani sacrileghe, ma oggi riportata al suo antico splendore. La cappella di marmi policromi dava accesso ad un sacello dalle pareti ricoperte in seta e oro, chiuso da una porta di rame sbalzato, dove era custodita l’arca con le Sacre Reliquie, ultimamente in questo sacello vi era l’ufficio parrocchiale.

In una cerimonia di grande splendore il 7 maggio 1639 avvenne la deposizione delle reliquie nella nuova arca e la traslazione nella nuova cappella, che così dai documenti ci viene descritta:

«Lo stesso ill.mo e rev.mo Signor Vescovo don Francesco Traina, indossati i paramenti pontificali con l’assistenza di un Diacono, di un Suddiacono, dei Maestri delle Cerimonie, degli Accoliti e altri che cantavano in coro, prontamente in Gregoriano e figurato l’inno Iste Confessor, dall’antica cassa, arca o monumento di S. Gerlando tutte le ossa dello stesso Santo, iniziando dal capo fino alle giunture dei piedi, dal primo all’ultimo, in presenza di noi, dei Giudici, dei testimoni e dei menzionati nella ornatissima cassa o arca o monumento d’argento, con le sue insegne  portata e tirata fuori in modo decoroso, prese e tirò fuori e tutte le sante ossa umilmente e devotamente depose, nascose, conservò, incluse, chiuse e serrò con tre chiavi, delle quali una tenne per sé, la seconda diede al Capitolo, la terza consegnò ai Signori Giurati. E da allora codesta nuova cassa, arca o monumento argenteo portata processionalmente con lo stesso canto in mezzo alla Chiesa, testimonianza visibilissima eccelsa e ornatissima, è esposta alla venerazione di tutto il popolo, e infine condotta per la Città molto onorevolmente, riverentemente e devotissimamente, è stata traslata nella cappella sopra descritta o nuova Cappella con il titolo di S. Gerlando a gloria di Dio e ad onore del Santo Patrono»[33].

 

VI Ricognizione (?)

Alla luce di alcuni elementi contenuti nel nostro documento ipotizziamo una ricognizione intermedia tra quella del Traina nel 1639 e quella del nostro documento del 1742. Analizzando ciò che è scritto nel verbale del 1639,

«dovendo fare la traslazione delle reliquie e delle ossa di S. Gerlando Vescovo e Patrono di Agrigento dalla cassetta e piccola Arca antica in quella nuova e dalla piccola cappella tra le pareti delle Tribune al nuovo Sacello, […il Vescovo] dall’antica cassa, arca o monumento di S. Gerlando tutte le ossa dello stesso Santo, iniziando dal capo fino alle giunture dei piedi dal primo all’ultimo in presenza di noi, dei Giudici, dei testimoni e dei menzionati nella ornatissima cassa o arca o monumento d’argento, con le sue insegne, portata e tirata fuori in modo decoroso, prese e tirò fuori e tutte le sante ossa umilmente e devotamente depose, nascose, conservò, incluse, chiuse e serrò con tre chiavi, delle quali una tenne per sé, la seconda diede al Capitolo, la terza consegnò ai Signori Giurati»[34].

Così svuotata la vecchia cassa di legno con le lamine in argento tutto venne inserito direttamente nella nuova Arca di Argento, chiusa con tre chiavi.

Nella descrizione della successiva ricognizione del 1742 invece troviamo un elemento nuovo, non descritto in questa cronaca così minuziosa. Aprendo

«la parte superiore alla presenza del suddetto Illustrissimo e Reverendissimo Signore Vicario Generale… In essa il suddetto Tesoriere e il Reverendo Signor Vicario Generale trovarono un’altra cassa di legno, coperta con una copertura di seta, ovale nella parte superiore, detta comunemente Bagullo, di circa tre palmi di lunghezza, con nastri di seta d’oro, adornata tutto intorno separatamente con perni di rame dorati, chiusa e con la chiave pendente dalla parte esterna. Al suo interno erano custodite le ossa del Beatissimo Vescovo; [il Vicario Generale], alla presenza di tutti gli astanti, aprì quella, tirata fuori riverentemente dai Beneficiali dalla più grande Arca d’argento, e tutti si inginocchiarono e adorarono il Santo Corpo»[35].

Come abbiamo potuto notare nel 1742 compare un elemento non descritto nel documento del 1639, cioè la cassa di legno rivestita di seta con una chiave pendente all’esterno, all’interno di quella argentea. Ciò ci fa presumere la possibilità di una o più ricognizioni intermedie dove fu aggiunto questo elemento.

 

VII Ricognizione

Come accennavamo all’inizio, il 30 marzo 1742 venne fatta una ricognizione delle reliquie per poter restaurare l’urna logorata dal tempo, erano passati più di 100 anni. All’interno della cassa, come dicevamo, trovarono i sacchetti di seta con le ossa, che nessuno osò aprire, e i fogli che abbiamo illustrato sopra, così il

«Vicario Generale compose i fogli di pergamena e il foglio di carta reale sopra descritti, affinché il logorio del tempo non li distrugga e non siano danneggiati dai secoli, nel modo in cui erano stati trovati, in una cassa piccola di piombo oblunga rotonda e legati con una cordicella di seta di colore verde; appose dalla parte esterna sigilli in cera ispanica e sopra la cassetta di piombo fece incidere: Monumenti autentici delle Traslazioni del S. Padre Gerlando, che sono stati trascritti nella Cancelleria Vescovile il 3 aprile 1742: e questa [cassetta] fu riposta accanto ai sacchetti di seta e, infine, alla presenza delle persone indicate sopra […], chiuse con reverenza la detta cassa di legno o Bagullo, ricompose la chiave dalla parte esterna, come era stata trovata e, mentre tutti si inginocchiavano, ripetendo l’Inno detto sopra e l’orazione, la pose nella più grande arca d’argento circondata all’interno di tessuto di seta, già dai sopradetti artigiani dopo 4 giorni restituita al primitivo splendore, introdusse, compose e immise alla presenza di tutti. I medesimi orefici, insieme al mastro Calogero Lauricella falegname, chiusero la grande Arca d’argento, come era chiusa in precedenza»[36].

Fin qui quanto apprendiamo dai nostri documenti. Le successive ricognizioni le traiamo da quanto scrissero Mons. De Gregorio e Mons. Noto[37].

 

VIII Ricognizione

Il vescovo Lanza il 14 aprile 1772, durante la sacra visita in cattedrale, compì la ricognizione delle reliquie di S. Gerlando che, però, non tolse dai sacchetti, le espose alla pubblica venerazione e le ripose con riverenza nella «grande cassa d’argento, lavorata con maestria». Ne lasciò testimonianza in una pergamena di cm. 58×51, miniata da Michele Narbone con fregi e il suo stemma vescovile.

 

IX Ricognizione

La stessa cosa avvenne il 21 luglio 1789: il vescovo Antonino Cavaleri, sempre nel corso della sacra Visita, ripeté gli stessi gesti di venerazione all’amato Santo.

 

X Ricognizione

Nel 1819 anche Mons. Baldassare Leone durante la sacra Visita espose le Reliquie del Santo Patrono pubblicamente alla venerazione dei fedeli.

 

XI Ricognizione

L’11 novembre 1824 Mons. Pietro Maria D’Agostino, sempre nel corso della sacra Visita fece la ricognizione delle Reliquie e aggiunse nel retro della bolla di Mons. Leone: «anche Noi abbiamo visitato le retrodescritte Reliquie».

 

XII Ricognizione

La stessa cosa fece Mons. Ignazio Montemagno, visitando le reliquie il 18 aprile 1838 durante la Sacra Visita, aggiungendo alla stessa bolla la stessa dicitura.

 

XIII Ricognizione

Nel 1846 Mons. Domenico Maria Lo Jacono, sempre in corso di Sacra Visita, compì anche Lui lo stesso gesto di ricognizione e venerazione delle Reliquie del Beato Gerlando.

 

XIV Ricognizione

Il 29 dicembre del 1872 Mons. Domenico Turano, compiendo la Sacra visita, fece la ricognizione delle Sacre Reliquie di San Gerlando, scrivendo: «col tatto tra le varie membra del gloriosissimo Patrono abbiamo riconosciuto il sacro Capo e volemmo devotamente venerarlo con i detti Cancelliere e Visitatori e Maestro delle cerimonie: anzi, volentieri le mostrammo a molti ecclesiastici e laici, che le venerarono con devozione»[38].

 

IV Traslazione

«Durante i lavori di sistemazione della cattedrale compiuti da mons. Lagumina venne riscoperta una elegante cappella chiaramontana e vi fu collocata l’arca del Santo, ma senza speciali solennità. Il Vescovo, a sue spese, fece costruire, su progetto dell’ing. Valenti, il portale in ferro battuto che chiude la cappella. Su di esso si vedono gli stemmi del Vescovo, del capitolo e della città»[39].

 

XV Ricognizione[40]

L’ultima ricognizione delle reliquie, fu compiuta da mons. Giuseppe Petralia il primo maggio 1970, antivigilia della festa della Traslazione, trasferita con decreto della Congregazione dei Riti del 5 novembre 1968, dalla II domenica di Pasqua alla VI domenica di Pasqua. Fatta la ricognizione il 1 maggio nella concattedrale di San Domenico, giacché la Cattedrale era chiusa per lavori, le Sacre Reliquie furono esposte fino al 3 maggio, giorno della festa, quando furono nuovamente deposte nell’Urna. Il verbale della ricognizione così descrive il momento:

«Abbiamo quindi aperto con riverenza l’Arca d’argento, preziosissimo dono del nostro Predecessore Francesco Trayna ed abbiamo potuto vedere la cassa di legno preparata dal Vescovo Raynaldo ed arricchita con ornamenti di argento dal vescovo Matteo de Fugardo[41], in cui è conservato il sacro Corpo. Abbiamo trovato ogni cosa, in piena conformità alle descrizioni più volte fatte dai nostri Predecessori: abbiamo quindi visto “la sacra Testa divisa in due parti, quattro grandi ossa delle tibie con due sue fibule, le guance con sei denti, un grande osso del braccio e molti altri frammenti ed anche residui delle sue vesti”. Approfittando della felice occasione, abbiamo permesso per tre giorni l’esposizione delle sacre Reliquie in una cassa di vetro, affinché tutto il clero della Città e della Diocesi e tutto il popolo possa piamente e devotamente venerarle. Sono presenti con noi pregando e congratulandosi il nostro Vicario Generale, Can. Angelo Noto, il Capitolo della Cattedrale, i Vicari Foranei ed il Consiglio Presbiterale e Pastorale diocesani. Sono presenti tutte le Autorità, il Prefetto della Provincia ed il Commissario al comune di Agrigento insieme con tutti i sindaci di tutti i nostri paesi, tutti felicissimi anche per il compimento del centesimo anno della costituzione del corpo dei Vigili Urbani della Città, che oggi scelgono e proclamano S. Gerlando in loro particolare Patrono. È presente e genuflesso prega l’Eminentissimo Cardinale di S.R.C. Francesco Carpino, Arcivescovo di Palermo, il quale ha celebrato i Vespri Solenni ed il 3 maggio 1970 il Pontificale di S. Gerlando, tessendo le lodi del Santo Patrono. Finalmente, terminate le sacre funzioni festive, il 3 maggio abbiamo riposte le Sacre Reliquie nell’Arca d’argento con pia riverenza, tra gli applausi del Clero e del popolo tutto. Ci conceda Dio che la vita cristiana, così promettente dopo il Concilio Vaticano II, progredisca in questo nostro tempo per l’esempio degli antenati e fiorisca al tramonto del II millennio con quello stesso vigore, con cui fiorì alla sua alba gloriosa. Seguono le firme del Cardinale, del Vescovo e delle principali autorità»[42].

 

Sfide dell’oggi

Al termine di questo nostro percorso, che ci ha visti, pellegrini nel tempo, nel seguire le vicende delle Sacre Reliquie del nostro Santo Patrono, San Gerlando, vogliamo far emergere alcune riflessioni circa il senso della venerazione delle reliquie e la devozione ai Santi oggi.

Viviamo in un tempo di profonda crisi di fede, le nostre chiese sono sempre meno frequentate, soprattutto da dopo la pandemia, che a mio parere abbiamo gestito dal punto di vista della fede proprio male e questa è una delle concause della crisi di fede.

L’uomo di oggi, sebbene sembrerebbe disinteressato allo spirito, in fondo cerca un qualcosa di trascendente, di soprannaturale, che purtroppo trova, al di fuori della Chiesa, nelle filosofie orientali, nella pseudomagia, nei santoni, nei guaritori, nelle apparizioni e in fenomeni soprannaturali, o presunti tali, nel commercio smodato di reliquie di santi antichi e moderni.

Noi, come Chiesa, siamo chiamati a rispondere a questa esigenza di fede; seppur in embrione, questa è una ricerca di trascendenza. La Chiesa, durante il corso dei secoli, ha sempre incarnato il messaggio evangelico nella cultura in cui si trovava dal punto di vista teologico, attraverso l’uso della filosofia e delle altre scienze al servizio della teologia, dal punto di vista architettonico e artistico, come abbiamo rilevato in un nostro recente studio[43], dal punto di vista della fede popolare, come feste religiose, venerazione delle reliquie, ecc.

Da un certo periodo in poi, dopo il Vaticano II, ci si è voluti spogliare di questi aspetti, per così dire ‘medievali’, della fede, per dare nuovo slancio al messaggio cristiano. Cosa buona e santa. Ma non tutti gli uomini erano pronti, e non lo sono ancora, a questo cambiamento. Chi è più avanti nel cammino di fede, non tiene conto di questi aspetti, chi ancora vive una fede, per dirla con San Paolo (1Cor 13,11), da bambini, non capisce una trasmissione della fede ad un livello che non sia il suo.

Nella sua millenaria esperienza la Chiesa, ha sempre mantenuto tali espressioni di fede, che possiamo definire, ‘popolari’, che nulla tolgono al messaggio cristiano, ma, anzi, lo arricchiscono di quelle perle preziose e gemme splendenti che non sono altro che gli esempi, i meriti e le virtù dei Santi, cioè di coloro che, imitando Cristo, hanno raggiunto la perfezione.

La sfida di oggi è proprio questa: orientare ogni cosa a Cristo, parlando agli adulti nella fede, come ad adulti, ai giovani, come a giovani, ai bambini, come a bambini, recuperando quel linguaggio bimillenario di anelito alla trascendenza, espresso nell’autentica devozione del fedele alla Beata Vergine Maria, ai Santi, al culto delle reliquie, nelle quali si manifesta la potenza di Dio attraverso quella virtus che emanano, che, sebbene non visibile agli occhi, è percepibile al cuore, alla fede, se davvero crediamo nella potenza di Dio, che opera al di là del mondo sensibile.

Non si tratta di tornare indietro. Oggi l’adulto nella fede giudica il passato come obsoleto, inutile, da cancellare, fatto solo di errori e superstizioni. Non è così. Se davvero si è adulti nella fede, si comprenderà che Dio può, «fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi» (Ef 3,20), e onorerà chi è ancora fanciullo, secondo quanto l’Apostolo ci ha insegnato: «accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni. Uno crede di poter mangiare di tutto; l’altro, che invece è debole, mangia solo legumi. Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia; colui che non mangia, non giudichi chi mangia: infatti Dio ha accolto anche lui» (Rm 14,1-2).

Pertanto quanto la Chiesa ha annunciato e annuncia, ha creduto e continua a credere, ha insegnato e continua a insegnare[44], e che noi oggi abbiamo rievocato in questo breve excursus, deve continuare ad essere parte del nostro patrimonio di fede. Venerando oggi il Beato Gerlando nel culto delle sue Reliquie, testimoniamo la potenza di Dio, che opera nei suoi Santi; restaurando la sacra Urna che contiene le Sacre Spoglie, onoriamo questo nostro protettore che ha portato nuovamente l’annuncio del Vangelo nella nostra terra; festeggiando la sua memoria, tramandiamo alle future generazioni il ricordo di questo Santo di Dio che con le sue virtù ha illuminato la Chiesa e con il suo esempio ci spinge a seguire Cristo nella Via della Verità, per raggiungere la Vita eterna (cfr. Gv 14,6).

 

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* Relazione tenuta dal Direttore dell’Archivio il 21 febbraio presso la Cattedrale di Agrigento in occasione della presentazione del restauro dell’antica Urna argentea.

[1] Cfr. D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 110-113.

[2] Cfr. R. Aigrain, Lhagiographie. Ses sources, ses méthodes, son histoire, Reproduction inchangée de l’édition originale de 1953 avec un complément bibliographique par R. Godding, Bruxelles 2000 ; J. Dubois – J.-L. Lemaître, Sources et méthodes de lhagiographie médiévale, Paris 1993; R. Grégoire, Manuale di agiologiaIntroduzione alla letteratura agiografica, Fabriano 19962; U. Longo, La santità medievale, Roma 2006; A. Benvenuti – S. Boesch Gajano – S. Ditchfield, et al., Storia della santità nel cristianesimo occidentale, Roma 2005; S. Boesch Gajano, La santità, Roma-Bari 1999; H. Delehaye, Cinq leçons sur la méthode hagiographique, Bruxelles 1934; Id., Les légendes hagiographiques, Bruxelles 19554; Id., SanctusEssai sur le culte des saints dans l’antiquité, Bruxelles 1927; A. Vauchez, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge d’après les procès de canonisation et les documents hagiographiques, Roma, 1981 – Trad. it.: La santità nel Medio Evo,  Bologna 19992; P. Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino 1983.

[3] Cfr. Libellus de Successione Pontificum Agrigenti, in P. Collura, Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento, Palermo 1961, 308.

[4] Hugo Falcandus, De rebus circa regni Siciliae curiam gestis. Epistola ad Petrum de desolazione Siciliae, E. D’Angelo (ed.), Firenze 2014, 196-321.

[5]  V.R. Imperia, I vescovati nella Sicilia normanna (secc. XI-XII). Potestà normative e competenze giurisdizionali in un territorio multiculturale, Palermo 2022, 57.

[6] «In urbe Agrigentina pontificalibus insulis cathedram sublimat: terris, decimis et diversis copiis, quae pontifici et clero competenter designata suffìciant, haereditaliter chirographis suis dotat, ornamentis et sacri altaris utensili bus ed plenum consignatis. Huic ecclesiae Gerlandum quendam, natione Allobrogum, virum, ut aiunt, magnaec haritatis et ecclesiasticis disciplinis eruditum, episcopum ordinans, praefecit», cfr. G. Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis fratris eius, auctore Gaufredo Malaterra monacho benedectino, E. Pontieri (ed.), Bologna 1928, 89. Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 19-24.

[7] Cfr. V.R. Imperia, I vescovati nella Sicilia normanna (secc. XI-XII). Potestà normative e competenze giurisdizionali in un territorio multiculturale, Palermo 2022, 59.

[8] Cfr. Libellus de Successione Pontificum Agrigenti, in P. Collura, Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento, Palermo 1961, 300.

[9] M. Caroli, La barba dell’apostolo. Traslazioni di reliquie in età carolingia tra legittimazione e propaganda, in “Liturgia e agiografia tra Roma e Costantinopoli. Atti del I e II Seminario di Studio. Roma-Grottaferrata 2000-2001”, a cura di Kr. Stanchev e S. Parenti, Grottaferrata 2007 (Analecta Kryptoferris, 5), pp. 289-310, qui in https://www.academia.edu/20929118/La_barba_dellapostolo_Traslazioni_di_reliquie_in_et%C3%A0_carolingia_tra_legittimazione_e_propaganda, 9.

[10] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 5-18.

[11] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 19-24.

[12] Cfr. V. Lombino, Corpo e Santità nella Sicilia dei Normanni, in «Ho Theológos» XXXIX (3/2021), 367-368.

[13] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 24-27.

[14] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 27-45.

[15] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 24-25.

[16] Cfr. Libellus de Successione Pontificum Agrigenti, in P. Collura, Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento, Palermo 1961, 307.

[17] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 16-17. D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 97-98.

[18] «Dic ministro ut corpus meum de loco isto in ecclesiam trasferat, quod si non feceris plaga insanabili te percuciam»,  D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 25.

[19] Cfr. D. De Gregorio, La ‘Legenda’ e l’antico ufficio ritmico di San Gerlando, Agrigento 1964, 26.

[20] Cfr. G. Lentini, Cathedraticum… de solvendo in festo translationis Sancti Gerlandi, in https://www.archiviostoricodiocesiag.it/cathedraticum [consultato il 26/01/2025].

[21] Notiamo qui che Mons. De Gregorio nel suo libro su San Gerlando (D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 117-127) e Mons. Angelo Noto (A. Noto, Il corpo di San Gerlando attraverso i secoli, in «L’Amico del Popolo», 26 aprile 1970, 3, lo stesso in La civiltà di San Gerlando, Canicattì 1970, 20-21) non conoscevano la ricognizione di Mons. Gioeni, giacché essi studiarono le pergamene trovate all’interno dell’arca lignea, non avendo tra le mani il nostro documento.

[22] ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 480r-v.

[23] «fuit ob id ab eisdem, ex parte superiori aperta, in praesentiam supradicti Ill.mi et Rev.mi Domini Vicarii Generalis […] in ea reperiit supradictus Thesaurarius et Rev.mus Dominus Vicarius Generalis aliam capsam ligneam, serico copertam velamine, a parte superiori ovatam, vulgo Bagullo, dimensionis trium palmorum circiter, vittis auro sericis, claviculis aereis auratis distincte circumornatam, observatam, et cum clavi a parte exteriori pendente, ubi osservabantur ossa Beatissimi Episcopi; eam spectantibus supradictis omnibus reverenter a supradicta majori Arca argentea per dictos Beneficiatos eductam, aperuit, omnesque genibus flexis Sanctum Corpus adoravere, et dicto Hymno: Iste Confessor cum Oratione, inspexit omnesque inspexere duos sacculos sericos coloris viridis involutos cum cordulispariter sericis compositos et ligatos cum ossibus Sanctissimi Episcopi, et prope sacculos praedictos in eadem capsa lignea intus etiam sericis circumornata vittis velaminibus, quos quidem sacculos neque supradictus Ill.mus et Rev.mus Vicarius Generalis nullusque alius ausit aperire, invenit quasdam Pergameni chartas, ac folium unum paginae regalis plicatum, et inclusum sub alio medio folio regali, vitta serica involuto et ligato, quas Pergameni chartas et folium primo dictus Ill.mus et Rev.mus Vicarius Generalis reverenter eductas mihi infrascripto et praedicto Notario Apostolico et Cancellario tradidit conscribendas, iterumque obserata charta praedicta coram omnibus, clavem apud se retinuit et elaborantibus interim supradictis Artificibus supradictas Pergameni chartas conscripsi, cujus primae tenor eratsequens», ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 480v-481r.

[24] «de corpore Gloriosi Confessoris Beati Gerlandi testam capitis in duas partes divisam, genas cum dentibus sex, quatuor magna ossa tibia rum cum duabus cannellis suis et os unum de brachio magnum et plura alia fragmenta et etiam fragmenta vestimento rum suorum cum uno baculo ligneo», ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 481r.

[25] ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 481v.

[26] ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 482r.

[27] Cfr. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 482v.

[28] Cfr. D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 119.

[29]«aperuit, in qua invenit praesentem Pergameni chartam, et alteram cuius tenor in hac ad verbum continetur, quibus de verbo ad verbum diligenter et exacte perlectis, omnia quae in eis continebantur reperta fuere et eodem die dictae Reliquiae repositae sunt in cassa praedicta ab eodem Rev.mo Episcopo, qui ut quae ducentorum triginta quatuor annorum spatio ex tunc, edax tempus tam intus, quam extra dictam Arcam ex parte consumserat a Dominis Juratis honorifice reficerentur enixe curavit, qui Domini Jurati ossa et omnia quae in dicta Arca recondita fuerant, et in mappis asservata lineis, sericis involvere linteaminibus, sicque ornata dictus Rev.mus Episcopus, praesentibus supradictis omnibus in praedicta reposuit Arca, eamque maxima, qua decuit, cum veneratione et devotione conclusit», ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 482v.

[30] Cfr. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 482v483r.

[31] D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 120-121.

[32] «Jesus, Maria, Franciscus. In nomine Domini. Amen. Nulla est hominus natio, vel orbis Regio, quae gestarum rerum suarum memoriam, singula more suo tempori non commendaverit, voce vel scripto, papiro, vel tabula, marmore, vel metallo, prosa, vel metro. Sacrae Litterae Veteris Testamenti recensione rerum gestarum a creatione mundi id sane confirmant; confirmant et literae Testamenti Novi recordatione pientissimi Adventus et Redemptionis Domini nostri Jesu Christi, et commemorazione Actuum Sanctorum Apostolorum: testificantur Egiptiorum Piramides, probant Graecorum Paginae, docent Latinorum historiae, praesertim Romanorum, qui inter caeteros, et scripto et scalpo marmore, et aere Aeuropam et Africam ac pariter Asiam Mundi Partes, quando memoriis non ornarunt, saltemcommacularunt, et tanto diligentius, quanto res gestae profanam eorum religionem attingerent. Gentium omnium igitur exemplum si inferuntur christiani in Dei Optimi Maximi, et Sanctorum eius decus; si continuat Catholica Siculorum Insula, si civica Agrigentum, si obsequitur Ill.mus et Rev.mus D. Franciscus Traina Panhormitanus Agrigentinae huius Ecclesiae Episcopus, si ejusdem Cathedralis Capitulum, si clerus Basilicae et Civitatis, ac universus dioecesanorum Sacerdotum cetus, posteritati inferent beneficium, praeteritis obsequie, praesentibus laudem Deo debitam laudem reddent. Hinc itaque est, quodcum SS.mi Gerlandi Agrigentini Episcopi, et Patroni ossa non ita decenter, ut par erat, asservarentur, nam revera locus, vel sacrariolum inter Tribunas, mediam scilicet, et meridionalem in summitate scale fatuae, quae ducit a Sacristia ad Episcopatum adeo erat angustus, adeo ascensu et descensu laboriosus, adeo utrique sexui incommodus, altus et distans, ut aptior fuisset ad Reliquias conservandas, vel Populo demonstrandas, quam ad devotionem augendam, vel retinendam, quorum considerazione forsan Ill.mus Episcopus Traina praedictus, Deo dictante, ut pie credere possimus sacellum latum in planitieEcclesiae, accessione facile tam maribus quam feminis a parte meridionali Basilicae post Tribunam, quae olim ab Episcopo Octaviano sacrata fuit Sancto Joanni Apostolo et Evangelistae, Sancto Leonardo et S. Eligio et in qua hodie est Altare SS.mi Sacramenti, a fundamentis in titulum S. Gerlandi Patroni aere suo erexit, ornavit, dotavit et sacravit et Arca, cassa, sive corporis monumentum dimensione exigua, artificio humilis, prestio tenuis, vetustate attrita, ab eodem Ill.mo et Rev.mo Domino D. Francisco Traina ex parva in proportionatam magnitudinem, ex paene rustica in cultissimam et ornatissimam, cujus opus materiam superat, ex tenui in ditissimam, et ex attrita in novissimam est immutata, vel si maius restituta», ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 483r-v.

[33]«Idem Ill.mus et Rev.mus Dominus Episcopus D. Franciscus Traina, Pontificalibus indutus cum assistente Diacono, Subdiacono, Magistris ceremoniarum, Acolytis et aliis cantantibus Choris, numero nempe Gregoriano et figurato Hymnum: Iste confessor etc. a veteri Capsa, Arca, sive monumento Sancti Gerlandi omnia ossa eiusdem Sancti incipiens a capite usque ad articulos pedum a primo ad ultimum in nostri Judicum, testium et infrascriptorum praesentia eduxit et extraxit, ac eadem omnia ossa sancta in argenteam ornatissimam capsam, Arcam, sive monumentum cum insignibus suis decenter eductam et extractam humiliter et devote deposuit, recondidit, reservavit, inclusit, clausit et observavit cum tribus clavibus, quam unam penes se retinuit, alteram Capitulo tradidit, tertiam dictis dominis Juratisconsignavit. Et dehinc nova ista Capsa, arca, vel argenteum monumentum processionaliter eodem cantu delata, in media Ecclesia superperspicuam, eccelsam et ornatissimam consignationem, venerationi universi Populi est exposita, ac demum processionaliter per civitatem honorificentissime, reverentissime et devotissime perducta translata est in supradicto Sacello, vel nova Cappella erecta in titulum S. Gerlandi ad Dei gloriam et santi Patroni honorem», ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 484v-485r.

[34] Cfr. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 484r-485r.

[35] Cfr. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 480v.

[36]«Quas supradictas Pergameni chartas, dictumque folium regale de verbum ad verbum, ut supra descriptas, ne temporis dente corroderentur, ac aevo pene conficierentur, in capsa parva plumbea oblonga rotunda idem Ill.mus et Rev.mus Dominus Vicarius Generalis composuit identifice, ut supra reperte fuere, ac cordula serica viridi coloris ligata, sigillis ex parte exteriori in cera hispanica absignavit, super qua quidem capsula plumbea exendi fecit: Authentica monumenta translationum S. Patris Gerlandi, quae transcripta sunt in Cancellaria Episcopali die tertio Aprilis 1742; eamdemque reposuit prope dictos sacculos sericos, ac demum spectantibus jam dictis, nec non et Canonico U.J.D. D. Salvatore Marchese et Canonico U.J.D. D.Gaspare Salerno, aliisque praesentibus supradictam capsam ligneam, seuBagullo reverenter clausit et clavem a parte exteriori, ut supra sita, et reperta fuit composuit et genibus item flexis omnibus, replicato Hymno jam dicto et oratione, eam in supradicta Arca majori argentea sericis pariter intus circumornata lintiaminibus jam jam (!) per supradictos Artifices post dies quatuor pristino splendori restituta devote introduxit composuit et immisit dictisque omnibus praesentibus iidemAurifices simulque et Magister Calogerus Lauricella faber lignarius Arcam Magnam argenteam praedictam clauserunt prout primitus erat obserata», ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 485v-486r.

[37] A. Noto, Il corpo di San Gerlando attraverso i secoli, in «L’Amico del Popolo», 26 aprile 1970, 3; D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 124-125.

[38] A. Noto, Il corpo di San Gerlando attraverso i secoli, in «L’Amico del Popolo», 26 aprile 1970, 3.

[39] D. De Gregorio, San Gerlando. Vita, scritti, tradizioni popolari, Agrigento 1988, 124.

[40] Negli scritti di Mons. De Gregorio e di Mons. Noto questa è detta XIII traslazione, ma come abbiamo notato ambedue non conoscevano il documento del 1742 da noi rinvenuto nel nostro Archivio, e come pensiamo una intermedia tra quella del 1639 e quella del 1742, pertanto nel 1970 fu fatta la XV ricognizione delle reliquie.

[41] Probabilmente non si tratta più della cassa lignea di Rinaldo arricchita nel 1376, ma di un’altra fatta apposta successivamente alla ricognizione di Traina per essere inserita in questa nuova urna, come abbiamo ipotizzato leggendo il documento del 1639, cfr. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1741-1742, 484r-485r.

[42] Cfr. XIII Ricognizione delle Reliquie di San Gerlando, in «L’Amico del Popolo», 3 maggio 1970, 8; una cronaca più puntuale si può trovare in Flash su tre giorni di festa, in «L’Amico del Popolo», 10 maggio 1970, 2-3.6.

[43] G. Lentini, Elementi di trascendenza nell’architettura paleocristiana e bizantina di Agrigento, in L’uomo. Cumulo di bisogni o anelito alla trascendenza?, Trapani 2025, 37-69.

[44] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 111; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1674-1676; 2131-2132; Benedetto XVI, Discorso ai giovani alla Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 18 agosto 2005; Congregazione per le Cause dei Santi, Istruzione Le reliquie nella Chiesa. Autenticità e Conservazione, Città del Vaticano 2017.

Ultimo aggiornamento

16 Febbraio 2025, 09:27

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