Nicolò Licata. Sacerdote, Benefattore e Difensore dei poveri *
Data:
17 Dicembre 2024

Per abbozzare questo intervento sono dovuto ricorrere a colui che dagli anni ‘70 ha iniziato a far emergere la figura di Mons. Licata dall’oblio della storia. Quanto è confluito poi nel volume “Nicolò Licata. Prete, giornalista e tribuno del popolo” di don Gerlando Lentini[1], è stato frutto di decenni di ricerche, letture, conferenze, articoli, discorsi che egli fece per ricordare al popolo riberese un grande arciprete, che oltre a svolgere egregiamente le sue funzioni di santificatore dei fedeli, ha anche pensato al loro benessere sociale ed economico, giacché l’uomo è fatto sì di anima, ma ha anche un corpo da sostentare e ha una famiglia da sfamare. Pertanto mi sono appoggiato, usando una felice espressione di Bernardo di Chartres nel XII secolo, sulle spalle di un gigante[2], certo che questo breve discorso aiuterà alla comprensione dell’operato di Mons. Licata.
Ribera all’inizio del ‘900 viveva un periodo di miseria economica e spirituale. Era un paese agricolo circondato e soffocato da proprietà fondiarie.
Cinque erano al tempo i più grandi latifondisti delle terre di Ribera:
- Antonio Alvarez de Toledo, Grande di Spagna, Duca di Bivona, residente a Madrid, che possedeva la maggior parte dei feudi (Aggregati Belmonte, Ulfa Giummarella, Ulfa Panetteria, Castellana, Camemi, Corvo, Caminello, Torretta e Canna Grande, Strasatto, Piccirilla, Vruca e Piano di Pupi);
- Nenè Parlapiano e i fratelli Francesco e Carmelo (feudo Verdura dalla località Mulino Torretta fino al mare);
- Chiarenza (feudo Finocchio e parte del feudo sito tra il Magazzolo e la Donna, detto Firrio o Bivio Greco);
- Gli Ospedali Riuniti di Sciacca (feudo Santo Pietro);
- I Fratelli Bonifacio (feudo Finocchio-Caraci acquistato nel 1885 ricorrendo al credito agrario cinquantennale presso il Banco di Sicilia)[3].
Comprendiamo così che tutte le terre attorno alla città di Ribera erano di proprietà di questi grandi latifondisti, pertanto i contadini riberesi erano affittuari e non proprietari della terra che lavoravano, incorrendo così in uno sfruttamento non solo da parte del feudatario, ma anche dai grandi amministratori, dai grandi gabelloti e dagli usurai.
Cosa accadeva pertanto nelle campagne riberesi, come dappertutto: «i rapporti tra contadino e proprietario erano regolati dall’arbitrio. Il feudo aveva il suo despota immediato nel campiere, il quale esercitava su tutti gli affittuari un potere tirannico. Il contadino era completamente in sua balia e non osava mai opporsi, né muovere alcun lamento per il trattamento di cui era vittima; spesso, mancandogli il pane per continuare la sua dura fatica, era costretto a ricorrere, per frumento e danaro, all’usuraio. Questi, privo di ogni senso di umanità, prestava con grande accortezza e con la certezza di non correre alcun rischio: solitamente si trattava di prestiti ipotecari così elevati che ben presto lo mettevano in condizione di espoliare la vittima che, se pur riusciva a saldare il debito, rimaneva sempre in condizioni tali da dovere ancora indebitarsi, cacciandosi in un vicolo cieco, senza speranza di salvezza»[4].
Dinanzi a questa situazione sociale ed economica, la vita spirituale poteva o accrescersi a tal punto da sperare totalmente nel Signore e affidarsi alla sua provvidenza, o, il più delle volte, abbandonarsi alla sfiducia, pensando che dalla condizione miserevole di povertà e sfruttamento nulla e nessuno, né in cielo, né sulla terra, potesse essere di aiuto. Purtroppo questo secondo caso era il più diffuso, ce ne possiamo accorgere dalle Meditazioni Vagabonde che Mons. Ficarra, allora viceparroco di Mons. Licata, scrisse tra il 1909 e il 1912 sul Lavoratore, giornale di Mons. Licata, sotto lo pseudonimo di Nunzio Teoforo e Alpha, più un articolo nel 1915 sotto la sua firma.
In questo contesto si inserisce l’operato di Mons. Licata a Ribera dal 1 settembre 1907, giorno del suo ingresso quale Arciprete, fino al 6 gennaio 1933 quando lasciò Ribera perché nominato Arciprete a Sciacca.
Vogliamo adesso brevemente presentare tre aspetti importanti della figura imponente di Mons. Licata: Sacerdote, benefattore, difensore dei poveri.
Tre aspetti intimamente interconnessi, giacché: perché sacerdote fu difensore dei poveri e benefattore, perché benefattore visse appieno il sacerdozio e aiutò chi era nel bisogno, perché difensore dei poveri attuò appieno il ministero sacerdotale e aiutò chiunque si avvicinasse a lui.
Sacerdote
L’opera sacerdotale di Mons. Licata non fu trascurabile. Egli «annunziava il Vangelo nella sua genuinità, senza annacquarlo ad uso e consumo degli sfruttatori; lo annunziava come liberazione globale dell’uomo per l’altra vita, ma anche per questa»[5]. Scrive il Dott. Giuseppe Bonifacio: «Le spiegazioni del Vangelo di Padre Licata divennero un’ora settimanale di gioia per le anime, perché non erano la solita formalistica spiegazione di un libro, ma la palpitante realtà del Cristianesimo, fresca e pura come all’origine»[6].
Così l’organizzazione del catechismo popolare cominciava a portare i suoi frutti: un Vangelo incarnato nel tempo, un Vangelo che libera l’uomo oppresso dai soprusi attraverso un’opera di crescita culturale e religiosa, confutando lo slogan marxista della religione oppio del popolo, fu infatti attraverso tale opera che Ribera si risvegliò dal servilismo e dal fatalismo e riconobbe la propria dignità e i propri diritti[7].
Sapendo che la speranza del futuro è nelle nuove generazioni, curò alacremente i giovani, indirizzandoli nelle varie associazioni, specialmente nell’Azione Cattolica e tra gli Esploratori Cattolici, così che alla morte di Don Michele Martorana nel 1923, venne scelto proprio lui quale assistente diocesano della Gioventù Cattolica, quale degno sostituto dell’apostolo della gioventù Martorana.
Vero Sacerdote scriverà nel suo testamento «Ringrazio l’Altissimo del prezioso dono della Fede e del Sacerdozio, e Gli domando umilmente perdono, se non ho degnamente corrisposto alle Sue grazie, così se ho mancato al mio dovere verso il prossimo e i fedeli. Perdono di gran cuore ai miei nemici. Ringrazio tutti coloro che mi hanno voluto fare del bene e mi hanno aiutato a farlo. Il Signore ne li rimeriti. Indimenticabili i 25 anni di Parrocato a Ribera con insigni collaboratori, tra l’affetto ardente del popolo, per cui benedico sacrifici, denari e fatiche spese»[8].
Tra i giovani di allora che lo ricordavano c’era Gaetano Bonifacio, che fu anche presidente del Circolo Giovanile. Don Gerlando riporta la sua testimonianza nel libro su Mons. Licata:
«L’arciprete Licata — egli ricorda — fu l’apostolo di un esaltante sviluppo religioso di Ribera. Inculcò in profondità il senso evangelico del cristianesimo. Amò la Chiesa sino allo spasimo: ne curo la costruzione materiale, ma soprattutto religiosa. Irradiava dalla sua persona un qualcosa di sacro che conquistava tutti.
Curò la liturgia, in modo che le funzioni religiose fossero decorose e piene di dignità. Curava il canto sacro. Volle che la decorazione della chiesa fosse liturgica e bella, che le processioni si svolgessero con molta serietà e decoro.
Al confessionale trascorreva parecchie ore; e il suo confessionale era particolarmente ricercato dai fedeli. La sua condotta esemplare.
Era tale il prestigio della sua persona che, durante le funzioni delle grandi feste religiose particolarmente affollate, bastava la sua presenza perché tutto si svolgesse con ordine e con un silenzio certosino.
L’arciprete Licata istituì moltissime associazioni, che venivano curate al massimo con la sua parola. Non è da dire poi il Catechismo, che era il fondamento della sua azione pastorale. Era riuscito a formare delle catechiste di valore; basti ricordare fra tutte la signora Giuseppa Giordano in Castagna.
A proposito delle sue grandi prediche, chi non ricorda quelle del 2 novembre in cimitero e del Venerdì santo sul Calvario?
Erano grandi avvenimenti per Ribera; e nessuno, neppure i suoi irriducibili avversari, mancavano all’appello appassionato che martellava il cuore umano o ricordandogli la sua estrema fragilità o ponendogli avanti Gesù che spirava in croce fra atroci tormenti per il suo divino amore per noi. Curava molto il quaresimale, invitando illustri predicatori; spesso volle le Missioni al popolo.
Il Catechismo al popolo lo faceva in forma dialogata. A tenerlo erano lo stesso arciprete e don Pietro Agliata, suo illustre collaboratore.
Era uno spasso sentirlo fare l’incredulo; faceva domande su domande, e ce ne voleva prima che si dichiarasse convinto.
Ecco un episodio della sua arguzia e bonomia. Una volta, mentre predicava, si accorse che una ragazza si tirava e tirava la gonna per coprirsi le ginocchia. Allora, come seguendo un certo discorso, si volse da un altro lato e disse: — È inutile che tiri, figlia mia, è la stoffa che manca!
La sua parola, quando faceva l’omelia, aveva una tale forza di penetrazione, e si capiva che era così intensamente vissuta, che cadeva nella coscienza dei fedeli e vi penetrava: non era, infatti, vuoto rumore di belle e appropriate parole, ma sostanza evangelica viva e palpitante, comunione spirituale.
L’arciprete Licata seppe circondarsi di collaboratori, sacerdoti e laici, interiormente formati; e così la sua opera veniva centuplicata.
Pertanto, sono arrivato a questa conclusione: lo sviluppo economico-sociale di Ribera, che con lui prese il più grande avvio della sua storia, ha la matrice nella sua grande anima cristiana. Era il Vangelo portato sulle piazze, il Vangelo dei poveri… il Vangelo dell’arciprete Licata, veramente precursore dei tempi moderni»[9].
Allo stesso modo don Gerlando Lentini fa un’analisi circa l’operato sacerdotale di Mons. Licata che possiamo ricavare dall’epilogo di un discorso tenuto in occasione della Festa di San Pietro a Borgo Bonsignore, a conclusione della processione, dopo aver parlato dell’operato di Mons Licata, così concludeva: «La nostra (di noi riberesi, n.d.r.) rinascita sociale è andata di pari passo con la rinascita religiosa, anzi da essa ha avuto origine: quel Cristo che predicava l’Arciprete Licata è colui che salva e fa rinascere nello spirito, sul piano religioso e sociale»[10].
Benefattore
L’essere benefattore di Mons. Licata è intrinsecamente legato al suo essere sacerdote, perché ciò che riuscì a fare era espressione della neonata Dottrina Sociale della Chiesa, attraverso il Movimento Cattolico che si era raggruppato nelle varie diocesi d’Italia e che aveva avviato sacerdoti zelanti all’impegno sociale come don Sturzo e il Partito Popolare Italiano, confederazioni sindacali bianche. Al tempo le classi dirigenti erano formate dai grandi latifondisti per lo più di stampo liberalmassonico, ai quali non conveniva che il popolo si liberasse dalle catene del latifondo e dell’usura. In Italia era nata dapprima la Democrazia Cristiana, da non confondere con il partito, questa fu sino alla prima guerra mondiale un movimento popolare di educazione sociale, di rivendicazioni, di cooperazione artigiana e contadina, di competizione elettorale nell’amministrazione degli Enti locali. Da questo movimenti nasceranno poi il Partito Popolare e le Confederazioni sindacali per l’aspetto sociale, per l’educazione religiosa invece l’Azione Cattolica.
Mons. Licata, come tanti altri sacerdoti della nostra diocesi, primo fra tutti don Michele Palminteri di Calamonaci, si impegnò in prima persona, già mentre era a Sciacca come consigliere comunale, poi a Ribera per fondare casse rurali, circoli di cultura, casse mutue, biblioteche, scuole serali per lavoratori, cooperative di produzione e di consumo[11].
La sua azione sociale può essere divisa in due periodi: 1. Prima della I guerra mondiale; 2. Dopo la I guerra mondiale.
- Nel primo periodo egli fondò delle società cooperative fra gli agricoltori, una biblioteca circolante, un circolo giovanile, delle scuole private ed altre opere benefiche, che servivano a formare le coscienze, poiché prima di cambiare la società e le strutture era necessario cambiare la mentalità degli uomini. Ma l’opera più importante di questo primo periodo fu la Cassa Rurale, da lui voluta, ma osteggiata dai nemici del popolo, in particolare gli usurai. Le prime azioni della Cassa Rurale furono in favore delle classi diseredate, erogando prestiti a tasso onesto e cristiano, erogazioni creditizie per l’acquisto di terre, fertilizzanti e sementi, animali da lavoro e macchine per l’industria casalinga, impianti di molini meccanici, oleifici, panifici ecc[12].
- Dopo la guerra, quando il popolo aveva capito l’enorme statura del suo arciprete e le denigrazioni a lui rivolte da parte di coloro a cui con le sue opere aveva dato fastidio, latifondisti, usurai, strozzini, ecc., iniziò la vera rivoluzione dell’economia del territorio di Ribera: la liberazione dai latifondi per la terra ai contadini. «Il duca di Bivona vendette quattro feudi alla Cassa Rurale con la garanzia di Mons. Licata, che furono rapidamente lottizzati ed assegnati ai contadini. La Cassa Rurale affrontò le somme per i primi pagamenti e nello spazio di pochi mesi i feudi, per una superficie di 1500 ettari, erano diventati poderi. Molti contadini erano senza un soldo, ma con una grande fame di terra, e vennero aiutati, sino al punto che a molti si anticipò anche il costo della cambiale che serviva al prestito delle 1000 lire necessarie come anticipo per l’acquisto di ogni salma di terra. I nuovi piccoli proprietari avevano intanto bisogno di tutto per il nuovo lavoro: oltre ai mezzi finanziari per i fertilizzanti, le sementi e gli attrezzi agricoli, era necessaria la direzione tecnica, l’assistenza per la trasformazione fondiaria, l’uso delle macchine, l’utilizzazione delle acque, la costruzione di strade, ecc.. La Cassa Rurale li aiutò indefessamente e sempre»[13].
Difensore dei Poveri
Mons. Licata amò immensamente i poveri, così don Gerlando Lentini titola un paragrafo del suo discorso[14]. Egli si mise a servizio del suo popolo con la parola e la penna. Predicava il Vangelo e lo diffondeva nelle case attraverso un foglio parrocchiale chiamato “La Buona Parola”, diffuso poi anche in tutta la Sicilia tanto da arrivare a diecimila copie di tiratura.
Attraverso l’opera giornalistica de Il Cittadino, e de Il Lavoratore, si erse a difensore di quel popolo a cui il Signore lo aveva mandato per servirlo nel corpo e nello spirito.
Istituì le Dame di Carità e le Lotteria natalizia per aiutare i poveri e gli ammalati a domicilio. Ricorda la Signora Garofalo come «Mons. Licata sapeva amare, perché impersonava Cristo con la sua parola che conquistava e con il suo esempio che insegnava a chi aveva la fortuna di avvicinarlo, come ogni battezzato dev’essere apostolo e sacerdote»[15].
Il denaro che raccoglieva, e ne raccolse tanto andando persino in America a chiederne ai riberesi emigrati, «passava dalle sue mani a quelle dei poveri, dei bisognosi, degli operai; veniva impiegato a servizio della verità per la redenzione delle masse popolari, con l’acquisto di una tipografia per la stampa di Sentinella, La Buona Parola, Il Lavoratore, perfino Il Cittadino di Agrigento, in alcuni periodi, si stampò a Ribera nel cortile Genova che divenne il centro propulsore delle attività religiose, sociali ed economiche di Ribera. I soldi passavano dalle mani di padre Licata in quelle dei muratori e degli artisti impiegati nella trasformazione dell’antico Duomo, dalle grandiose ma rustiche e strutture, a monumentale e decorosa casa di Dio e del suo popolo. Fece, infatti, ex novo il prospetto, gli intonaci, le rifiniture e la decorazione interna; innalzò l’artistico campanile, su progetto dell’architetto Valenti ed esecuzione di Raimondo Lentini per la parte artistica e di Benedetto Trapani per la muratura»[16].
Ma poveri non si è soltanto materialmente: i più poveri sono i peccatori. Mons. Licata aiutava anche questi con zelante dedizione. Ricorda la Signora Garofalo, da alcuni appunti trovati tra le carte di don Gerlando, che «le confessioni con Padre Licata erano un colloquio, “uno scambio di calici” diceva lui, e secondo gli stati d’animo del penitente si protraevano delle mezz’ore. Le fedeli che volevano confessarsi e attendevano il pomeriggio vicino al confessionale, a volte si spazientivano per l’attesa e una volta io lo feci presente al confessore, paziente nell’ascoltare le misere debolezze, ed Egli: “Non lascia il medico un ammalato grave per correre da un altro, stia tranquilla perché qui si tratta della salute di un’anima”»[17].
A conclusione di questo nostro intervento vogliamo ricordare come Egli «morì povero il 16 maggio 1946 nella cameretta n. 4 dell’ospedale di Sciacca, ma volle essere seppellito a Ribera in un’umile tomba»[18], prima di essere traslato nel 2021 nella Chiesa Madre. Don Gerlando ricordava «di lui ci rimane il campanile, il duomo rifatto nella facciata e della decorazione interna» — sebbene deturpata dal terremoto e rifatta 25 anni or sono — «ci rimane soprattutto la prosperità delle nostre campagne e questo spirito d’intraprendenza che lui ha saputo suscitare in noi riberesi e del quale mai saremo abbastanza grati a lui e a Dio che ce lo ha dato»[19].
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* Relazione tenuta dal direttore il 14 dicembre 2024 presso il Salone del Bambino di Ribera in occasione del XXV Anniversario di riapertura al culto della Chiesa Madre di Ribera e dell’inaugurazione della lapide in memoria di Mons. Licata e di Mons. Birritteri, insigni arcipreti della città.
[1] G. Lentini – R. Lentini, Nicolò Licata. Prete, giornalista e tribuno del popolo, Agrigento 1995.
[2] «Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes»: Giovanni di Salisbury, Metalogicon, III, 4.
[3] Cfr. G. Lentini, L’arciprete Nicolò Licata. Primo e principale artefice della rinascita economico-sociale di Ribera, Ribera 8 gennaio 1977, in ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Conferenza, c.6-7.
[4]Ibidem.
[5]Ibidem, 9.
[6]Ibidem, 9-10.
[7]Ibidem, 9.
[8]Cfr. G. Lentini, L’arciprete Nicolò Licata. Primo e principale artefice della rinascita economico-sociale di Ribera, Ribera 8 gennaio 1977, in ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Opuscolo per il pubblico, 7.
[9] G. Lentini – R. Lentini, Nicolò Licata. Prete, giornalista e tribuno del popolo, Agrigento 1995, 285-286.
[10]Cfr. G. Lentini, Discorso a conclusione della processione in onore di San Pietro, Borgo Bonsignore 17 agosto 1975, in ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Discorso, c.6.
[11] Cfr. G. Lentini, P. Licata, ossia la coscienza del dovere, in «La Via», IX (1974)/7, 4.
[12] Cfr. Ibidem, 6.
[13] Cfr. Ibidem, 7.
[14]Cfr. G. Lentini, L’arciprete Nicolò Licata. Primo e principale artefice della rinascita economico-sociale di Ribera, Ribera 8 gennaio 1977, in ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Conferenza, c. 9.
[15]ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Appunti Testimonianza Garofalo, c. 2.
[16]Ibidem, 10-11.
[17]ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Appunti Testimonianza Garofalo, c. 1.
[18]Cfr. G. Lentini, Discorso a conclusione della processione in onore di San Pietro, Borgo Bonsignore 17 agosto 1975, in ASDA, Fondo Sac. Gerlando Lentini, Fald. Nicolò Licata. Discorso, c.5.
[19]Ibidem.
Ultimo aggiornamento
17 Dicembre 2024, 10:10