Arte e Fede: una lettura storica e teologica del fenomeno artistico nella vita della Chiesa*
Data:
12 Ottobre 2024

«Se un pagano viene e ti dice “Mostrami la tua fede!”,
tu portalo in una chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata
e spiegagli la serie dei sacri quadri».
(Giovanni Damasceno, Difesa delle immagini sacre, 1,9,PG, XCV, 325, VII-VIII sec.)
«Se l’arte non potesse rappresentare Cristo,
vorrebbe dire che il Verbo non si è incarnato».
(Teodoro Studita, Epigrammi, IX sec.)
Fin dalle origini il cristianesimo iniziò ad usare le immagini per richiamare, per suscitare nella mente del fedele le realtà divine, siano esse immagini figurative, siano essi simboli.
Sebbene qualcuno oggi ancora affermi l’aniconismo del cristianesimo delle origini, mentre qualcun altro lo invoca e lo divulga, moderni studi archeologici ci attestano che non vi fu un’avversione alle immagini sacre nel cristianesimo delle origini, ma che, mutuate dalla religione ebraica, vi furono decorazioni parietali, o di oggetti di uso quotidiano, con raffigurazioni fitomorfe, simboli del monogramma di Cristo, o croci, o raffigurazioni di episodi biblici o della Vergine Maria[1].
Pertanto il rapporto Arte-Fede affonda le proprie radici già agli albori del cristianesimo, propagandosi, approfondendosi e rafforzandosi lungo il corso dei secoli, attraverso i vari modi di espressione dell’Arte e le varie correnti artistiche, fino ad arrivare ai nostri giorni.
La Chiesa orientale ha canonizzato un modello di immagine sacra nella scrittura dell’icona, che non è soltanto un’immagine sacra, come la intendiamo noi occidentali, ma è un trattato di teologia, che non vuole rappresentare la realtà materiale del soggetto rappresentato, ma la realtà teologica e spirituale, regolata da precise norme per l’iconografo e per la composizione e realizzazione dell’icona[2].
Nella tradizione occidentale e latina, invece, la Chiesa si è affidata agli artisti del tempo, i quali con le tecniche a loro familiari (pittura, mosaico, scultura, ecc.) hanno realizzato i soggetti sacri da proporre alla venerazione dei fedeli.
Comprendiamo che si tratta di due modelli totalmente diversi, quello d’oriente e quello d’occidente, che non possiamo mettere sullo stesso piano, ma, sebbene il modello orientale sia più venerabile, quello occidentale ha un intrinseco valore spirituale che non possiamo non rilevare[3].
In occidente, come scriveva il compianto prof. Prodi, «il culto delle reliquie e delle immagini è accettato e favorito non perché esse contengano in sé una sacralità magica (non quo credatur inesse aliqua in iis divinitas vel virtus: non sono idoli), bensì perché la devozione è rivolta ai “prototypa” che esse rappresentano»[4].
Pertanto, vogliamo qui ricordare, che ogni immagine sacra doveva ispirare quei sentimenti di devozione, guidati dai canoni di bellezza, e spingere i fedeli alla preghiera. Al vescovo era richiesto di vigilare sull’esposizione di nuove immagini e reliquie alla venerazione dei fedeli, secondo i dettami del Concilio di Trento:
«Nella invocazione dei santi, inoltre, nella venerazione delle reliquie e nell’uso sacro delle immagini sia bandita ogni superstizione, sia eliminata ogni turpe ricerca di denaro e sia evitata ogni licenza, in modo da non dipingere o adornare le immagini con procace bellezza. Da ultimo, in queste cose sia usata dai vescovi tanta diligenza e tanta cura, che niente appaia disordinato, niente fuori posto e rumoroso, niente profano, niente meno onesto: alla casa di Dio, infatti, si addice la santità. E perché queste disposizioni vengano osservate più fedelmente, questo santo Sinodo stabilisce che non è lecito a nessuno porre o far porre un’immagine inconsueta in un luogo o in una Chiesa, per quanto esente, se non è stata prima approvata dal vescovo; né ammettere nuovi miracoli, o accogliere nuove reliquie, se non dopo il giudizio e l’approvazione dello stesso vescovo. Questi, poi, non appena sia venuto a sapere qualche cosa su qualcuno di questi fatti, consultati i teologi ed altre pie persone, faccia quello che crederà conforme alla verità e alla pietà»[5].
Queste istanze del Concilio di Trento furono attuate dai vescovi di Agrigento che si succedettero dal 1500 in poi, tanto che nei documenti custoditi nel nostro Archivio Storico Diocesano troviamo parecchie autorizzazioni di tal sorta.
Un primo documento del 1580 riguarda l’autorizzazione di porre una statua di Santa Maria Maddalena, fatta fare da suor Antonina Bona di Sciacca in un altare da far costruire a spese della stessa; il vescovo ordinò che per il momento la statua fosse posta nella chiesa del Giglio, in attesa della costruzione dell’altare dove far celebrare in onore della Santa[6].
A Mussomeli, invece, nel 1589 i rettori della confraternita di Santa Margherita fecero realizzare una statua della Madonna e chiedevano al vescovo di benedirla e di permetterne la processione; il vescovo, il più delle volte impossibilitato, darà incarico ai vicari foranei, in questo caso di Mussomeli, per benedirla e attuare le prescrizioni del Tridentino[7].
Nel 1592 a Favara, invece, il vescovo autorizzava i frati del Convento di San Francesco a benedire e portare in processione la nuova immagine del Santo, comunicando la sua decisione al vicario della città[8].
Mentre il vescovo si trovava in Visita Pastorale a Licata nel 1594, i rettori della confraternita di Sant’Andrea chiesero allo stesso di poter portare la nuova statua di San Biagio processionalmente nella loro chiesa, così egli benevolmente accolse la richiesta, concedendone licenza[9].
Nel 1598, invece, precisamente il 9 luglio troviamo nella licenza di far benedire la statua e di condurla in processione l’esplicita menzione dei dettami del Concilio di Trento, poiché il Priore del Convento del Carmine di Racalmuto chiedeva licenza di «conducere per questa preditta terra la imagine del Carmino quali novamente ha fatto fare», si dava incarico al Vicario del luogo di controllare se l’immagine fosse «conforme a li requesiti del S. T. C.» e, se tutto era in regola, autorizzarne la venerazione[10].
Voglio citare, infine, tralasciandone altri per brevità, il documento che riguarda la statua di Santa Rosalia di Bivona, commissionata nel 1601, che nel 1604 veniva consegnata per portarla in processione, mentre il vescovo dava incarico al Vicario di Bivona di controllare e benedire l’immagine[11].
Possiamo dedurre dalla lettura di questi documenti, come l’attenzione ai canoni di bellezza e di devozione era una priorità per i vescovi, che vigilavano non soltanto sulla devozione che la statua poteva suscitare, ma anche sulla modesta bellezza, evitando quella «procace bellezza» di cui parlava il Concilio di Trento, che poteva portare, più che alla devozione, alla disonestà e alla superstizione.
Come abbiamo potuto vedere l’arte è stata sempre uno strumento importante per la religione cristiana, che non soltanto la ha usata per adornare le chiese, ma anche per suscitare la devozione, aumentare la fede e spingere alla santità. Con il passare dei secoli tale rapporto di Arte e Fede non si è affievolito, ma si è rafforzato sempre di più, soprattutto cogliendo le istanze del movimento Liturgico — già Pio XII si era rivolto agli artisti —, poi con i documenti del Concilio Vaticano II, in particolare della Sacrosanctum Concilium[12], circa la sacra liturgia, la Chiesa ha approfondito il suo rapporto con l’arte e con gli artisti, tanto che ogni Pontefice, da Paolo VI in poi, ha voluto incontrare e dare il proprio messaggio a coloro che sono chiamati a rendere visibile l’Invisibile[13].
Oggi, pertanto, in modo particolare bisogna riscoprire l’importanza dell’arte sacra, richiamata dal Concilio quale espressione della liturgia della Chiesa, distinguendola dall’arte religiosa, cioè da una rappresentazione artistica a soggetto religioso non destinata al culto. Tale distinzione, sebbene sottile, è sostanziale. Non tutte le rappresentazioni pittoriche o scultoree a soggetto religioso sono adatte per la venerazione dei fedeli ed essere inserite in una Chiesa, quale espressione di arte sacra[14].
Sebbene il soggetto dell’arte sacra e di quella religiosa sia uguale, l’arte sacra è ordinata ai misteri celebrati nella liturgia, deve esprimere intrinsecamente quella sacralità che è fondamento di ogni azione liturgica e pertanto non è dettata dalla committenza, né dall’artista che la esegue, ma, come esprime bene il prof. Estivill, è il sensus fidei che ci permette di riconoscere il carattere sacro di un’opera d’arte, allo stesso modo in cui ci permette di riconoscere se una celebrazione liturgica è pienamente un ponte verso il Trascendente[15].
D’altro canto l’artista nel suo processo creativo non deve ignorare il contenuto che gli viene dato dalla fede, così che l’«intimo rapporto tra arte e liturgia può risplendere quando artisti di solida formazione cattolica si impegnano nella produzione di opere concepite sin dall’inizio al servizio del culto divino»[16], avendo piena conoscenza della Sacra Scrittura, della Teologia e della Spiritualità cristiana e seguendo ciò che il Concilio vaticano II esprime affermando che l’arte deve servire «con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei riti sacri»[17].
Questo è un cammino bimillenario del rapporto tra Arte e Fede, che ha mosso i primi passi nel cristianesimo nascente e che oggi, più che mai, ha bisogno di essere accompagnato alla luce degli insegnamenti del Concilio, che vanno riletti, rimeditati e riscoperti, perché forse dimenticati. Un cammino che ha bisogno della necessaria formazione biblica, teologica e spirituale, un tempo forse più permeante nella società, ma che oggi, purtroppo, sembra oscurata dal relativismo e dall’influenza della secolarizzazione.
Pertanto il rapporto di Arte e Fede oggi, a nostro avviso, va riscoperto nella sua essenzialità: l’Arte, posta a servizio della fede, deve esprimere le realtà Invisibili attraverso gli stili del nostro tempo, purché questi servano «con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti» e non «siano contrarie alla fede e ai costumi e alla pietà cristiana» o che offendano «il genuino senso religioso, o perché depravate nelle forme, o perché mancanti, mediocri o false nell’espressione artistica»[18]; la Fede d’altro canto ha il compito di illuminare l’Arte, attraverso la formazione anzitutto del clero e poi degli artisti «allo spirito dell’arte sacra e della sacra liturgia», così che gli artisti che vogliono «servire alla gloria di Dio nella santa Chiesa, — dice ancora il Concilio — ricordino sempre che si tratta di una certa sacra imitazione di Dio creatore e di opere destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla istruzione religiosa dei fedeli»[19].
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*Relazione tenuta dal Direttore dell’Archivio a Raffadali il 12 ottobre 2024, in occasione della presentazione dell’opuscolo del Prof. Conte “Il Simulacro della Madonna degli infermi di Raffadali”.
[1] Cfr. T. Burckhardt, Principi e metodi dell’arte sacra, Roma 2004; J. Hani, Il simbolismo del tempio cristiano, Roma 1996; G.M. Roschini, Maria Santissima nella Storia della salvezza. Trattato completo di mariologia alla luce del Concilio Vaticano II, IV. Il culto mariano, Isola del Liri 1969, 25-33; R. Garrucci, Storia della arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, I-VI, Prato 1873-1880; A. Grabar, Martyrium. Recherches sur le culte de reliques et l’art chrétien antique, II, Paris 1946; F. Bisconti (ed.), Temi di iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000; J. Wilpert, Roma sotterranea. Le pitture delle catacombe romane, I-II, Roma 1903; L. Reau, Iconographie de l’art chrétien, I-VI, Paris 1956-1959; E. Kirschbaum (ed.), Lexikon der christlichenikonographie, I-VIII, Roma – Freiburg – Basel – Wien, 1968-1976; G. Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, Milano 1984; G. Pelizzari, L’iconografia cristiana delle origini come storia dell’esegesi. Un’ermeneutica codificata, Milano 2022.
[2] Cfr. P.N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Cinisello Balsamo 1990.
[3] Cfr. J. Ratzinger, Opera Omnia. Teologia della Liturgia, IX, Città del Vaticano 2010, 129-132.
[4] P. Prodi, Arte e pietà nella Chiesa tridentina, Bologna 2014, 16.
[5] Concilio di Trento, XXV sessione (3-4 dicembre 1563), Della invocazione, della venerazione e delle reliquie dei santi e delle sacre immagini.
[6]Poiché suor Antonina Bona di Sciacca ha chiesto di “fabricari uno altaro sub titulo di la Magdalena et quello dotari” con un’immagine della Maddalena, il Vescovo ordina al Vicario di Sciacca di permettere “per hora” a suor Antonina “di portari ditta immagini in la ecclesia di lo Giglio undi pretendi fabricari ditto altaro et farci celebrari la Messa et in quanto a la fabricattione, quando … sarremo in visita in questa città, provediremo come si conveni …”. 5 gennaio 1580. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1580 – 1581, 184v.
[7]A seguito della richiesta dei rettori della Confraternita di S. Margherita, che hanno fatto realizzare una nuova immagine della Madonna, si dà incarico al Vicario di Mussomeli di benedirla e di permettere che si faccia la processione e si raccolgano le offerte dei fedeli per pagare la manifattura. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1589 – 1590, 184.
[8]A seguito della richiesta del Guardiano del Convento di S. Francesco, si comunica al Vicario di Favara che la nuova immagine “di relevo” del Santo può essere portata in processione e benedetta.30 settembre 1592. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1592 – 1593, 229.
[9]Ai Confrati della Confraternita di S. Andrea, che hanno fatto realizzare “una immagini di relevo” di S. Biagio, si concede licenza di portarla in chiesa in processione. Nel corso della visita a Licata, 25 ottobre 1594. ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1594 – 1595, 178v.
[10]ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1597 – 1598, 274v.
[11] «Si dà incarico al Vicario di Bivona di controllare e benedire l’immagine di S. Rosalia, da condurre in processione nella Chiesa a lei dedicata. 10 agosto 1604, ASDA, Atti dei Vescovi, Reg. 1603 – 1604, 305v.
[12] SC 122-130.
[13] Cfr. A. Farchione, Arte e Chiesa. La volontà di un incontro per la Chiesa, l’attrazione per lo scontro dell’arte contemporanea, Verona 2011.
[14] Cfr. J. Ratzinger, Opera Omnia. Teologia della Liturgia, IX, Città del Vaticano 2010, 132.
[15] Cfr. D. Estivill, La Chiesa e l’arte secondo il Concilio Ecumenico Vaticano II. Note per un’ermeneutica della riforma nella continuità, Città del Vaticano 2012, 26-30.
[16]Ibidem, 31-33
[17] SC 123.
[18] SC 123-124.
[19] SC 127.
Ultimo aggiornamento
8 Ottobre 2024, 09:18